martedì 15 settembre 2009

Nel mondo dei contrari













«Fanculo il successo. Voglio una vita, ecco.
Voglio una casa. Voglio innamorarmi, bere una birra in pubblico, andare in libreria e scegliermi un libro leggendo la quarta di copertina. Voglio passeggiare, prendere il sole, camminare sotto la pioggia, incontrare senza paura e senza spaventarla mia madre. Voglio avere intorno i miei amici e poter ridere e non dover parlare di me, sempre di me come se fossi un malato terminale e loro fossero alle prese con una visita noiosa eppure inevitabile. Cazzo, ho soltanto ventotto anni! E voglio ancora scrivere, scrivere, scrivere perché è quella la mia passione e la mia resistenza e io, per scrivere, ho bisogno di affondare le mani nella realtà, strofinarmela addosso, sentirne l'odore e il sudore e non vivere, come sterilizzato in una camera iperbarica, dentro una caserma dei carabinieri - oggi qui, domani lontano duecento chilometri - spostato come un pacco senza sapere che cosa è successo o può succedere. In uno stato di smarrimento e precarietà perenni che mi impedisce di pensare, di riflettere, di concentrarmi, quale che sia la cosa da fare. A volte mi sorprendo a pensare queste parole: rivoglio indietro la mia vita. Me le ripeto una a una, silenziosamente, tra me. »

Recentemente questo governo ha detto di essere stato, fino ad ora, il migliore, quello che ha avuto più successo, più risultati nella lotta alla mafia. Uno zerbino di governo, quello verde, ha detto che sono in corso manovre mafiose contro l'attuale premier.

Io penso che dovrebbe esistere in Italia il diritto da parte delle vere vittime della mafia di poter denunciare chi si spaccia come perseguitato da organizzazioni malavitose quando invece sulla sua testa gravano pesanti dubbi di onestà e relazioni con queste. E vorrei una pena da scontare per queste persone: vivere sole, senza contatti con il mondo esterno, senza la possibilità di fare le cose più normali, ad esempio parlare con gli altri, andare a trovare gli amici, salutare i genitori, i fratelli, i figli, bere al bar o mangiare in pizzeria, che non si possano innamorare di una donna, condividerci dei sogni, dei momenti intimi, che gli venga tolta la parola, il successo, la libertà di dire quel che si vuole. E gli farei vedere tutto quello che non possono avere o essere attraverso un vetro. Non necessariamente quello che in prigione divide il carcerato da chi è venuto a trovarlo. E' sufficiente quello di una finestra. Magari della propria casa. Anzi, di un'altra casa, diversa da quella in cui è nato. Mi sembra una pena giusta da infliggere a chi si immola come vittima della mafia quando invece ne è un protrattore. Ma come al solito, nel mondo dei contrari, la pena è stata inflitta a chi la mafia la combatteva con un spirito che tanti non riescono nemmeno a capire. L'abbiamo inflitta a Saviano, al quale abbiamo dato una scorta di cinque carabinieri e l'abbiamo fatto passare come il nostro aiuto, il massimo sforzo che potessimo fare, senza pensare che quella scorta si sarebbe trasformata in cornice, la cornice dalla quale veder trascorrere la sua vita. Lo abbiamo fatto anni fa ed ora, come i gesti abitudinari, non ci pensiamo già più.

Scusaci Roberto, a nome di tutti quelli che si vergognano di questo paese.


Nell'immagine: un fotogramma del film "Gomorra"

Nessun commento:

Posta un commento