lunedì 25 ottobre 2010

Stop al Consumo di Territorio


Viene riportato di seguito il manifesto del Movimento Stop al Consumo di Territorio, nato fra le provincie di Asti e Cuneo, su iniziativa di Alessandro Mortarino, Gino Scarsi e Domenico Finiguerra. Inoltre pubblico il video "Fabbricando case" realizzato da me e Fabio Valle.

Movimento di opinione per la difesa del diritto al territorio non cementificato

Manifesto nazionale


Il consumo di territorio nell’ultimo decennio ha assunto proporzioni preoccupanti e una estensione devastante. Negli ultimi vent’anni, il nostro Paese ha cavalcato una urbanizzazione ampia, rapida e violenta. Le aree destinate a edilizia privata, le zone artigianali, commerciali e industriali con relativi svincoli e rotonde si sono moltiplicate ed hanno fatto da traino a nuove grandi opere infrastrutturali (autostrade, tangenziali, alta velocità, ecc.).
Soltanto negli ultimi 15 anni circa tre milioni di ettari, un tempo agricoli, sono stati asfaltati e/o cementificati. Questo consumo di suolo sovente si è trasformato in puro spreco, con decine di migliaia di capannoni vuoti e case sfitte: suolo sottratto all’agricoltura, terreno che ha cessato di produrre vera ricchezza. La sua cementificazione riscalda il pianeta, pone problemi crescenti al rifornimento delle falde idriche e non reca più alcun beneficio, né sull’occupazione né sulla qualità della vita dei cittadini.
Questa crescita senza limiti considera il territorio una risorsa inesauribile, la sua tutela e salvaguardia risultano subordinate ad interessi finanziari sovente speculativi: un circolo vizioso che, se non interrotto, continuerà a portare al collasso intere zone e regioni urbane. Un meccanismo deleterio che permette la svendita di un patrimonio collettivo ed esauribile come il suolo, per finanziare i servizi pubblici ai cittadini (monetizzazione del territorio).
Tutto ciò porta da una parte allo svuotamento di molti centri storici e dall’altra all’aumento di nuovi residenti in nuovi spazi e nuove attività, che significano a loro volta nuove domande di servizi e così via all’infinito, con effetti alla lunga devastanti. Dando vita a quella che si può definire la “città continua”. Dove esistevano paesi, comuni, identità municipali, oggi troviamo immense periferie urbane, quartieri dormitorio e senza anima: una “conurbazione” ormai completa per molte aree del paese.
Ma i legislatori e gli amministratori possono fare scelte diverse, seguire strade alternative? Sì!
Quelle che risiedono in una politica urbanistica ispirata al principio del risparmio di suolo e alla cosiddetta “crescita zero”, quelle che portano ad indirizzare il comparto edile sulla ricostruzione e ristrutturazione energetica del patrimonio edilizio esistente.
Il movimento di opinione per lo STOP AL CONSUMO DI TERRITORIO e i firmatari individuano 6 principali motivi a sostegno della presente campagna nazionale di raccolta firme.

STOP: PERCHÉ?


1. Perché il suolo ancora non cementificato non sia più utilizzato come “moneta corrente” per i bilanci comunali.

2. Perché si cambi strategia nella politica urbanistica: con l’attuale trend in meno di 50 anni buona parte delle zone del Paese rimaste naturali saranno completamente urbanizzate e conurbate.

3. Perché occorre ripristinare un corretto equilibrio tra Uomo ed Ambiente sia dal punto di vista della sostenibilità (impronta ecologica) che dal punto di vista paesaggistico.

4. Perché il suolo di una comunità è una risorsa insostituibile perché il terreno e le piante che vi crescono catturano l’anidride carbonica, per il drenaggio delle acque, per la frescura che rilascia d’estate, per le coltivazioni, ecc.

5. Per senso di responsabilità verso le future generazioni.

6. Per offrire a cittadini, legislatori ed amministratori una traccia su cui lavorare insieme e rendere evidente una via alternativa all’attuale modello di società.

mercoledì 22 settembre 2010

Non chiamateLa guerra: la strategia afgana per riportare la droga al suo posto

Dire che la Guerra in Afghanistan è una missione di pace non è solo un'ipocrita velatura semiotica. Non è solamente una questione di non chiamare le cose con il proprio nome. Il fatto è che, in tempi di crisi, le cose come queste vanno chiamate in un altro modo altrimenti costerebbero. Guerra deve diventare Missione di Pace per motivi economici. Eh sì. Non tanto, ma comunque costerebbero. Denaro. Perché vedete, forse nemmeno quel giornalista che riffa le notizie di La7, Carlos Mentana, che si esibisce in assoli contro la musica vecchia, stanca e marcia di Menzognini sul Tg1 e il contenitore vuoto di Canale5, beh nemmeno lui ti dice perché non la puoi chiamare (leggetelo in silenzio) guerra. Non la puoi chiamare così perché altrimenti i famigliari delle vittime dovrebbero ricevere dei risarcimenti. E invece se tu la chiami 'missione di pace' i parenti dei morti non ricevono un euro. Moglie e figli senza trattamenti previsti da una situazione di guerra. E' un'ipocrisia ma tant'è, cosa ci vuoi fare. E' la crisi, tesoro.
Oppure davvero non si tratta di una guerra. Ma di una strategia americana, ordita dalla Cia, per riequilibrare il mercato della droga mondiale, pilastro necessario per l'economia moderna capitalistica e globalizzata. Su Terra ho riportato un articolo dedicato all'argomento. Ma l'ho riportato da un'inchiesta di Enrico Piovesana, giornalista di PeaceReporter. Perciò qui di seguito vi riporto il suo di articolo, che è meglio:

Eroina afgana sui voli militari britannici di ritorno dal fronte. La notizia rafforza i sospetti sui reali interessi economici che si nascondono dietro la guerra in Afghanistan

La notizia, diffusa lunedì dalla Bbc, dei militari britannici e canadesi accusati di trasportare eroina in Europa sfruttando l'assenza di controllo sui voli militari di ritorno dal fronte, non fa che rafforzare i sospetti sui reali interessi economici che si nascondono dietro la guerra in Afghanistan.
Il traffico 'militare' di eroina scoperto tra le
basi Nato nel sud dell'Afghanistan (Helmand e Kandahar) e l'aeroporto militare di Brize Norton, nell'Oxfordshire, verrà liquidato con la solita spiegazione delle 'mele marce', del caso isolato che riguarda solo alcuni individui.
Più probabilmente si tratta invece della
punta dell'iceberg, o meglio delle briciole di un traffico ben più grande e strutturato che i suoi principali gestori - militari e servizi segreti Usa - lasciano ai loro alleati, evidentemente meno bravi di loro nel non farsi scoprire.
Solo pochi mesi fa sulla stampa tedesca era venuto fuori che una delle principali agenzie private di contractors addette alla logistica delle basi Nato in Afghanistan - la
Ecolog, sospettata di legami con la mafia albanese - era coinvolta in traffici di eroina afgana verso il Kosovo e la Germania.
L'anno scorso fece molto scalpore la rivelazione, del
New York Times, che Walid Karzai, fratello del presidente afgano e principale trafficante di droga della provincia di Kandahar, fosse da anni sul libro paga della Cia.
"I militari americani non contrastano la produzione di droga in Afghanistan perché questa frutta loro almeno
50 miliardi di dollari all'anno: sono loro a trasportare la droga all'estero con i loro aerei militari, non è un mistero", dichiarava nell'estate 2009 a Russia Today il generale russo Mahmut Gareev.
Già nel 2008 la stampa russa, sulla base di informazioni di intelligence non smentite dall'allora ambasciatore di Mosca a Kabul,
Zamir Kabulov, rivelava che l'eroina viene portata fuori dall'Afghanistan a bordo dei cargo militari Usa diretti nelle basi di Ganci, in Kirghizistan, e di Inchirlik, in Turchia.
Nello stesso periodo, un articolo apparso sul quotidiano britannico
Guardian riferiva delle crescenti voci riguardanti la pratica dei militari Usa in Afghanistan di nascondere la droga nelle bare dei caduti aviotrasportate all'estero, riempite di eroina al posto dei cadaveri dei soldati.
"Le esperienze passate in
Indocina e Centroamerica - si leggeva, sempre nel 2008, sull'americano Huffington Post - suggeriscono che la Cia potrebbe essere coinvolta nel traffico di droga afgana in maniera più pesante di quello che già sappiamo. In entrambi quei casi gli aerei Cia trasportavano all'estero la droga per conto dei loro alleati locali: lo stesso potrebbe avvenire in Afghanistan. Quando la storia della guerra sarà stata scritta, il sordido coinvolgimento di Washington nel traffico di eroina afgana sarà uno dei capitoli più vergognosi".
Nel 2002 il giornalista ameriano
Dave Gibson di Newsmax ha citava una fonte anonima dell'intelligence Usa secondo la quale "la Cia è sempre stata implicata nel traffico mondiale di droga e in Afghanistan sta semplicemente portando avanti quello che è il suo affare preferito, come aveva già fatto durante la guerra in Vietnam".
Secondo lo storico Usa
Alfred McCoy, principale studioso del coinvolgimento della Cia nel narcotraffico in tutti i teatri di guerra americani degli ultimi cinquant'anni (fino alla resistenza antisovietica afgana degli anni '80), il principale obiettivo dell'occupazione americana dell'Afghanistan era il ripristino della produzione di oppio, inaspettatamente vietata l'anno prima dal Mullah Omar nella speranza di guadagnarsi il riconoscimento internazionale.
I fatti, e il buon senso, sembrano confermare la tesi di McCoy: dopo l'invasione del 2001,
la produzione e lo smercio di oppio afgano (e dell'eroina) sono ripresi a livelli mai visti, polverizzando in pochi anni i record dell'epoca talebana, mentre le truppe Usa e Nato si sono sempre rifiutate di impegnarsi nella lotta al narcotraffico, continuando a sostenere i locali signori della droga.
Rimane
una domanda di fondo: perché mai gli apparati militari e d'intelligence americani, in teoria dediti alla sicurezza nazionale e internazionale, mirano da decenni al controllo del narcotraffico? Per la venalità dei loro vertici corrotti? Per garantirsi fondi neri per operazioni coperte? O forse dietro c'è qualcosa di più strategico e sistemico che, alla fine, riguarda realmente il mantenimento della la sicurezza?
Il direttore generale dell'Ufficio Onu per la droga e la criminalità (Unodc),
Antonio Maria Costa, ha implicitamente risposto a questa domanda, dichiarando che gli enormi capitali derivanti dal riciclaggio dei proventi del narcotraffico costituiscono la linfa vitale che garantisce la sopravvivenza del sistema economico americano e occidentale nei momenti di crisi.
'La maggior parte dei proventi del traffico di droga, un volume impressionante di denaro, viene immesso nell'economia legale con il riciclaggio'', affermava Maria Costa nel gennaio 2009. ''Ciò significa introdurre
capitale da investimento, fondi che sono finiti anche nel settore finanziario, che si trova sotto ovvia pressione (a causa della crisi finanziaria globale, ndr)''.
''Il denaro proveniente dal narcotraffico attualmente è l'unico capitale liquido da investimento disponibile'', proseguiva il direttore dell'Unodc. ''Nel 2008 la liquidità era il problema principale per il
sistema bancario e quindi tale capitale liquido è diventato un fattore importante. Sembra che i crediti interbancari siano stati finanziati da denaro che proviene dal traffico della droga e da altre attività illecite. E' ovviamente arduo dimostrarlo, ma ci sono indicazioni che un certo numero di banche sia stato salvato con questi mezzi''.

domenica 12 settembre 2010

L'immigrazione spiegata al bar

L'incontro che ho avuto l'altra sera con Karim Metref al bar (http://piemondo.over-blog.org) è stato davvero interessante. Karim mi parlava del suo ultimo libro, di quello che avrebbe scritto a proposito dell'immigrazione. E cioè che esistono due buonismi sul discorso che andrebbero approfonditi. Ma non voglio essere didascalisco perciò ve lo racconterò a partire da un migrante che lascia l'Africa nera per intraprendere un lungo viaggio verso l'Eldorado-Italia che proprio Eldorado non è. Ebbene, egli spenderà tutti i suoi averi per attraversare il deserto (non so se qualcuno della Lega ci sia mai stato nel deserto - non valgono i resort turistici!) condividendo i suoi patimenti con un folto gruppo di sfortunati. E' facile ipotizzare che l'idea del viaggio sia stata concepita in un regime alimentare carente e in un ambiente precarizzato dal punto di vista lavorativo. Perciò in condizioni mentali abbastanza tragiche, direi. Il migrante, qui in veste di emigrante, attraversa un lungo processo di selezione naturale dove solamente i più forti riusciranno a raggiungere le coste europee. Arrivati sulle sponde della Libia alcuni verranno incarcerati e maltrattati, alcuni uccisi e seviziati altri scapperanno e riusciranno a partire alla volta dell'Italia (pensate, proprio quel paese che ha permesso loro di essere maltrattati e seviziati e magari uccisi). Il fortunato migrante (fortunato: dipende dai punti di vista) arriverà in un paese dove sarà odiato e disprezzato da alcuni, aiutato da altri: aiuto che però ha alla radice qualcosa di controverso, confuso. Il migrante - nella fettispecie si parla di immigrato - sentirà dire da analisti, sociologi, volontari dell'informazione: "l'immigrato è necessario all'economia italiana" oppure "l'immigrato è portatore di crescita demografica".
Ma può essere veramente così facile? Dire che l'immigrato è necessario all'economia italiana è improprio: diciamo 'conveniente'. Sì, il migrante conviene all'immigrazione. E chi se no accetterebbe di raccogliere frutta, farsi pagare due euro per una giornata di lavoro e poi andare a dormire in un silos abbandonato? Un uomo nero, forte (ricordiamoci che è stato selezionato da madre natura nel deserto) e giovane. Sì, giovane. Perché mica emigrano gli anziani. E così la popolazione italiana risulta ringiovanita. Figli in più chi li fa? Nessuno se li può permettere. E' questo il vero problema. E' questa la ragione dell'invecchiamento progressivo del nostro paese. E i vari Maroni, Bossi, Calderoli, Borghezio che tanto si prodigano per aiutare lo straniero, lo bloccano sul nascere (l'immigrato infatti nasce quando immigra, non quando abita la sua terra) pensate che queste cose non le sappiano? Ovviamente le sanno. Ma è difficile estirpare il male alla radice, controllare un sistema, anzi Sistema come lo definisce Saviano, marcio e corrotto, pigro e ipocrita. Chi è più colpevole, infatti? Lo schiavo che farebbe qualunque cosa per mangiare o l'imprenditore che sa che quel lavoratore dalla manodopera inesistente andrà a patire il freddo in un alloggio senz'acqua potabile? Certo, sono i rumeni ubriachi e i marocchini spacciatori ad uccidere, non gli imprenditori che al massimo danno lavoro. Quando Prodi aumentò il controllo fiscale per combattere l'evasione si mise contro tutti. Ora possiamo pensare che quella manovra è forse non uno strumento meramente economico ma sociale: un modo di rimediare all'immigrazione impazzita. Il controllo economico, il mercato nero. Ma Prodi (anche se non lo difendo in toto, ci mancherebbe) è stato battuto perché non televisivo e ora ci dobbiamo accontentare della politica spot di Berlusconi che fa politica attraverso gli slogan: "Meno tasse per tutti".

Sì, e anche meno problemi morali.

mercoledì 1 settembre 2010

Ho fatto due etti d'etica. Che faccio, lascio?

Da dove cominciare? Partendo dall'appurato fatto che più che colonello Gheddafi è un dittatore vero e proprio, mi spiace che se ne sia già andato da Roma. E' stata una visitina così breve. Breve ma intensa. Già mi immagino Berlusconi che all'uscita della sua villa chiede stupito al dittatore: "Ma dove te ne vai? Di già? Ma prendi ancora una bignola..." e Gheddafi che con un gesto di amazzone (che pensavo fosse una leggenda, invece esistono veramente!) rifiuta cordialmente. E se ne va. Ma non prima di aver siglato vari e importantissimi accordi. Importantissimi, sì.
Ma per chi?
Chissà cosa pensa un immigrato, rinchiuso in una cella 1metrox1metro, quando vede la nazione in cui desiderava approdare (nel nostro caso l'Italia: ma è solo una supposizione!) e per la quale aveva speso tutti i suoi soldi, pochi a dir la verità, vederla accordarsi con il proprio paese da cui cerca disperatamente di scappare. Un dittatore che fa accordi con l'Europa oggigiorno? E' come dire che gli americani fecero accordi con i nazisti o gli europei anni'80 con i dittatori sudamericani.
Meno male che la tv non c'è, non ancora, in queste carceri libiche da dove Dio solo sa se un immigrato uscirà vivo per non tornarci. Senza tv non si sa nemmeno cosa stiano dicendo i due dittatori, pardon: il Colonello e il Cavaliere (ma Berlusconi in guerra andava a cavallo? Perché Cavaliere?). La tv non c'è, ma se ci fosse un po' d'acqua... Taci negro, gli direbbe Gheddafi, sono occupato in tutt'altro tipo di accordo.
E oltre alla tv meno male che non esiste stampa libera, come invece esiste da noi (ma davvero?). Altrimenti il povero immigrato prossimo alla morte (ma ci credete che in carcere in Libia si muore o no? Se aspettate Minzolini che ve lo dica... Guardatevi piuttosto il documentario "Come un uomo sulla Terra") avrebbe letto l'intervista fatta dall'organo informazionale La Stampa a pag.7 al sindaco leghista di Verona Flavio Tosi (che io mi chiedo: perché proprio lui?) il quale dice: "Se parliamo di etica dovremmo rompere con i cinesi". E ha ragione. Meglio non parlarne di etica. Per evitare di fare brutte figure. Tosi dice: "Ma scusate, le prove di verginità le esigiamo solo da Gheddafi? Io non dico che sia un santo ma se dovessimo ragionare da un punto di vista etico non avremmo più rapporti commerciali con mezzo mondo. L'Oriente, l'Africa, la Cina dove ogni anno ci sono 5mila esecuzioni capitali, il 90 per cento delle condanne a morte del mondo... E allora che facciamo, siccome sono un po' tiranni smettiamo di avere scambi?".
Eh già. Sono solo un po' tiranni. Che sarai mai? Ma siamo obiettivi, Tosi su una cosa ha ragione: la politica non conosce etica. Altrimenti non si fanno accordi economici, non si progredisce, si resta poveri. L'etica è ormai un prodotto di scarto. Immagino il mio salumiere che chiede:
"Ho fatto due etti d'etica. Che faccio, lascio?"
"Per carità, la tolga, la tolga. Mi fa male alla digestione. E tutto un di più, quello".
Pensiamo prima alle cose concrete. A magnà. E sennò che si fa? Sindachiamo su ogni morte ingiusta di un operaio malpagato in Cina? Ohhh, saranno 2 miliardi, che sarà mai uno in più o uno in meno.
E poi si sta parlando di politica o di economia? Si parla di economia, anzi di Economia perché fior fiori di aziende sono interessate a mettere le mani in pasta libica, quelle che più rappresentano l'Italia: Eni, Finmeccanica, Enel, Impregilo, Sai, Unicredit, Telecom e Confindustria. Ah sì, c'è pure Ben Ammar, l'amico imprenditore tunisino di Berlusconi con il quale si è divertito a realizzare il film Baarìa, osannato kolossal a livello internazionale.
Ma torniamo a noi. Si parla di economia. Nient'altro. Ma Berlusconi e Gheddafi sono economi?
No, loro devono assicurare che tu, operaio in cassa integrazione, arrivi a mangiare a fine mese. Solo a fine mese. Gli altri 30 giorni vedi di aggiustarti. Ma è già un inizio. Poi che tu mangi sulle spalle di un libico che c'entra? Ognuno pensa al proprio benessere. E, come ha detto anche Tosi, "Gheddafi ha certamente fatto quello che è, dal punto di vista libico, l'interesse nazionale". Ma sicuro. Con i soldi che arriveranno alla Libia sono convinto che il Colonnello sfamerà l'intero paese. Si svenerebbe Gheddafi per il suo popolo. Moltiplicherebbe pani e pesci se solo fosse cristiano. Via i maligni dalla Libia. Con soli 5 miliardi, che Gheddafi ha chiesto all'Unione Europea per combattere l'immigrazione (non farebbe prima a pagare chi se ne vuole andare?), si potrebbero aprire nuove carceri e rinchiudere gli immigrati, che rischiano di far diventare l'Europa più, come ha detto il leader libico, "nera". 'sti negri. 'sti zozzoni. Invece più polizia, più posti di lavoro: questo dev'essere lo slogan.
Torniamo a te, operaio in cassa integrazione: non ti devi più preoccupare di nulla. Ci pensano i vertici per te. Dimentica l'etica e tutto andrà liscio come l'olio (i maligni direbbero questo con un ampio gesto del braccio che mima l'ingresso di un qualcosa di appuntito nel deretano).
Ma, signor commendatore, io a fine mese non so se c'arrivo stavolta. Mia moglie fa la maestra (e lei credo che abbia già capito tutto) e c'ho due figli. Ste vacanze non sapevo dove portare le creature! Ma che dice, c'arivo?
Ma certo, fidati di noi.
Ma non è che mangio sulle spalle di qualche disgraziato?
Ma che dici? Non siamo bestie noi. Siamo politici! Fai così: se ti senti in colpa fa un'offerta in Chiesa (cristiana o coranica fa lo stesso), per i poveri. Vedrai che starai meglio. E i tuoi figli portali al supermercato: là pure l'aria condizionata. Starete tutti meglio.
Meglio.

Sì, meglio. Meglio che mi date un secchio: sto per vomitare.

giovedì 19 agosto 2010

Kordoglio: un Cossiga all'unanimità

Da pochi giorni è morto Francesco Cossiga, prima Ministro degli Interni, poi Presidente del Consiglio e infine della Repubblica. E ovviamente senatore a vita. Una vita da politico. Ora destra e sinistra, mezzi di comunicazione e giornalisti lodano le sue imprese. Il 'picconatore', figura bizzarra, ironica, fantasiosa, istrionica, folle: è stato definito in vari modi. Ma probabilmente qualcuno dimentica che Cossiga fosse prima di tutto un politico. Chi parla di fatti politici compiuti? Si parla di Cossiga come uomo, ma non come politico. Eh già, come politico è un po' più difficile parlarne. Per motivi di tempo, riporterò qui un articolo comparso su Il Manifesto, unico mezzo voce fuori dal coro - già, sono comunisti, loro! - articolo, dicevo, firmato da Ida Dominijanni. Per ricordare che Cossiga si è avvicinato molto alla figura di un gerarca fascista, con 'un grande senso dello stato', come dicono alcuni, sì ma del tipo 'lo stato sono io'. Cito per concludere le parole di cordoglio del ministro Giulio Tremonti: "I politici si dividono in due grandi categorie (e fin qui sembra un film di Sergio Leone): gli uomini e gli altri. Francesco Cossiga era un uomo". Che parole! Chissà quanto c'ha messo a scriverle.

Cossigheide, dal caso Moro a Berlusconi
L'ombra di Moro accompagna la vita di Francesco Cossiga come un'impronta indelebile: «Se ho i capelli bianchi e le macchie sulla pelle è per questo: perché mentre lasciavamo uccidere Moro, me ne rendevo conto». Sono parole sue, confermate da successive, ripetute ammissioni, questa del 2001 ad esempio: «Io ho concorso a uccidere o a lasciar uccidere Moro quando scelsi di non trattare con le Br, e lo accetto come una mia responsabilità, a differenza di molte anime belle della Dc. Altri si sono scoperti trattativisti in seguito, ma io ero e resto convinto che lo Stato sia un valore».
Capelli bianchi, macchie sulla pelle: tecnicamente si chiama «incorporazione del lutto», e capita quando un lutto accompagnato da sensi di colpa si trasforma in un fantasma persecutorio. Non c'è notizia invece di tracce corporee imputabili ad altri lutti della democrazia italiana, cui il ministro degli interni dei cosiddetti anni di piombo, il famoso Kossiga con la K, non fu estraneo: Giorgiana Masi, Roma 1976, Francesco Lorusso, Bologna 1977. Anche a questo proposito non mancheranno però successive e puntuali rivendicazioni, come l'orazione in Senato del 2 agosto 2001 contro la sfiducia a Scajola per i fatti di Genova: «Anni fa un ministro dell'interno sgombrò Bologna con i carri cingolati dell'Arma dei carabinieri, e nessuno ne chiese le dimissioni. Anni fa in un violento attacco a reparti di carabinieri cadde un giovane autonomo, e nessuno chiese le dimissioni del ministro. Anni fa in eventi ancora oscuri Giorgiana Masi cadde dall'altra parte di un ponte, e nessuno chiese le dimissioni del ministro».
Ancora nel 2008 del resto non furono da meno i consigli a Bobo Maroni su come affrontare le manifestazioni dell'Onda: «Faccia quello che feci io, ritiri le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltri il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasci che per una decina di giorni i manifestanti mettano a ferro e fuoco le città; poi, le forze dell'ordine dovrebbero mandarli tutti in ospedale senza pietà».
Questo era stato il Cossiga della Prima Repubblica, ministro degli Interni ai tempi non solo dei fatti suddetti ma anche di Ustica, e della strage di Bologna che a un certo punto attribuì alla «resistenza palestinese»: era l'uomo convinto che lo Stato sia un valore, e che questo valore si difenda con questi metodi. Poi venne l'inquilino del Quirinale convinto che lo Stato di valore non ne avesse più alcuno, e che la prima Repubblica dovesse dissolversi nella seconda. Nessuno meglio di lui, del resto, sapeva che la prima era finita con Moro nel '78. E nessuno più di lui si convinse che l'89 chiudeva definitivamente, col bipolarismo mondiale, la ragion d'essere di una politica nazionale finalizzata, dal '48 in poi, all'obiettivo primario dell'esclusione dei comunisti dal governo.
Furono gli anni del Grande Picconatore, delle "rivelazioni"sul passato nazionale fatte col contagocce o vomitate fluvialmente secondo l'occorrenza, e culminate nelle ammissioni del '92 su Gladio, la struttura paramilitare atlantica istituita in Italia nel dopoguerra per neutralizzare il pericolo rosso: fu la prova che la nostra era sempre stata una repubblica a sovranità limitata, ma fu anche il lasciapassare, alquanto sinistro, dell'allora presidente della Repubblica a un cambio di regime.
Non solo per questo, del resto, Cossiga può essere considerato il traghettatore dalla prima alla seconda Repubblica: si deve a lui, ad esempio, l'inizio della pratica delle esternazioni e dell'uso politico dei media che con Berlusconi sarebbe diventata corrente. E si deve a lui e alle sue picconate, più in profondità, la rottura del regime del vero e del falso che nel bene e nel male aveva caratterizzato la vita istituzionale del primo quarantennio repubblicano, e che con lui, prima che con Berlusconi, si trasforma in un regime in cui tutto è dicibile perché nulla è verificabile: una trasformazione che intacca l'aura stessa del Sovrano e la sua credibilità.
Del resto: «Io non sono matto, faccio il matto. Sono il finto matto che dice le cose come stanno», così una volta Cossiga su se stesso. Delle molte cose finto-matte dette, anticipate, profetizzate, nonché realizzate da lui stesso in prima persona con il potere non residuale che aveva mantenuto dopo il settennato al Quirinale, almeno due sono da ricordare. La prima è la sua benedizione al governo D'Alema, novembre '98: nove anni dopo l'89, c'era da fare la guerra in Kosovo e un ex- comunista poteva finalmente entrare a palazzo Chigi. La seconda è una sua diagnosi del '97, quando il picconatore decretò che il Polo berlusconiano si avviava a una lenta agonia, e che una volta indebolitosi ulteriormente l'allora Pds, si sarebbero aperte le porte a un centro-destra gollista. Gianfranco Fini, all'epoca, ne fu entusiasta.

giovedì 22 luglio 2010

Priolo occupata dal solare

E' stata inaugurata, dopo solo dieci anni di conflitti, la centrale solare Archimede in quel di Priolo in provincia di Siracusa. L'impianto è stato festeggiato in pompa magna alla presenza del ministro per l'ambiente Prestigiacomo (Pdl) la quale ha più volte sostenuto l'eventualità, nonché la necessità, di ritornare al nucleare.
Ma parliamo del fotovoltaico. Finalmente una buona notizia per l'ambiente. Energia pulita e rinnovabile. Solamente con qualche piccolo, piccolissimo sacrificio. Ad esempio quello di suolo. Infatti, il campo solare in questione realizzato dall'Enel occupa una superficie di 300 ettari. Se ci pensiamo bene è una vastissima zona che si traduce in uno spaventoso spreco di risorsa prima, il suolo appunto, dal momento che di asfalto, e quindi di superfici già compromesse, in Italia siamo pieni. Basti pensare alle autostrade, ai parcheggi, senza contare le migliaia di tetti di abitazioni private. Probabilmente la tecnologia termodinamica non è facile da installare sui tetti. Sì, perché il solare di cui stiamo parlando è quello termodinamico che usa lunghe file di specchi a parabola per concentrare il calore del sole su un tubo dove scorre dell'olio. In questo caso, e qui sta tutta l'avanguardia di questo impianto italiano, invece dell'olio si usano sali fusi realizzati dalla azienda umbra Angelantoni. Tutto farebbe pensare a un polo solare in grado di risollevare l'Italia dal baratro energetico. Ma non pare proprio. Perché la potenza di tutto questo popò di roba ammonta a 4,96 Mw: quanto due pale eoliche nemmeno tanto grosse. Il progetto iniziale voleva produrne 50 di Mw. Chissà, forse è stato scartato perché altrimenti avrebbero dovuto far evacuare la Sicilia. Bisognerebbe chiederlo all'Enel.
La cosa positiva rispetto agli altri impianti solari è che questo mix di sali riscaldati permette di avere un range di temperatura dai 290 ai 550 gradi e perciò funzionare anche di notte. Enel ed Enea parlano di un'autonomia di otto ore al buio. La speranza è che questo abbia perlomeno dei fini sperimentali (in teoria è così ma aspettiamo la pratica). Perché ora i costi sono ancora troppo alti per una resa energetica bassa e la turbina che fa girare la corrente elettrica non è solo alimentata dal vapore (perché la tecnologia termodinamica prevede che i sali scaldati facciano bollire dell'acqua e il vapore prodotto faccia girare la turbina) ma anche dal gas di un impianto combinato, diciamo tradizionale. Ma se si migliorasse la tecnologia...
Da aggiungere che Priolo ha già ospitato in passato il più grande polo petrolchimico d'Europa, oggi decadente dopo lo scandalo tangenti Isab del 1973. E' perciò una zona già indicata più volte per ospitare progetti faraonici. Oggi i reperti archeologici, tra i quali necropoli e resti di città greche, si alternano inglobati dalle industrie abbandonate. E' di pochi anni addietro, poi, il progetto, sfumato anche questo per problemi legati al rischio di inquinamento, dell'impianto Recovan che doveva lavorare gli scarti industriali dai quali estrarre il mercurio. In più la Erg sta contrattando con la Shell per un impianto di rigassificazione, uno dei quattro previsti dal Piano Nazionale Energetico per sopperire al crescente fabbisogno di gas della penisola (che riceveremo liquido dalla Libia dopo gli accordi Berlusconi-Gheddafi). Sono sorti comitati, proteste che si sono unite a quelle di un termovalorizzatore nella zona, insomma è un'area sulla quale in molti han provato a costruire. Finalmente oggi il solare, unico progetto concluso. Ma perché proprio qui? Cos'ha Priolo che attira progetti simili in gran numero?

Intanto che qualcuno ci fornisca la risposta, a Los Angeles hanno sperimentato i primi pannelli biologici: infatti i pannelli utilizzati da tutti ora sono un derivato della plastica che, come si sa, è a sua volta un derivato del petrolio. I pannelli bio utilizzano delle alghe al loro interno che attraverso la fotosintesi producono a loro volta idrogeno. Tutto ciò è ancora in via sperimentale ma ha già dato buoni risultati in laboratorio. Certo, è un po' poco direte voi. Ma sempre meglio che sperimentare dopo aver sterilizzato 300 ettari di terreno costiero libero, dico io.

martedì 20 luglio 2010

Esame di (in)coscienza

Recentemente la città di Alba ha fatto un salto al tempo dell'Inquisizione. In particolare una parrocchia, in occasione della cresima annuale, ha somministrato ai 'padrini' un foglietto di quattro pagine, una sorta di bollettino in carta fotocopiata, contenente un esame di coscienza a dir poco meschino. Non per il contenuto, che le chiese locali siano ancora legate ai costumi di una volta non ci stupisce, e chissà forse serve da equilibrio (senza parlare che in luoghi di campagna la Chiesa è sempre servita come ottimo centro di aggregazione fra giovani, mentre nelle campagne industrializzate può a volte essere tentata da costumi consumistici tipici della vecchia borghesia), non per il contenuto si diceva ma per la forma in cui questo contenuto è descritto e somministrato sotto il titolo, moralista, "esame di coscienza". Ebbene, elencherò ora alcune di queste domande tratte dall'elenco consegnato al 'padrino' in vista del suo importante ruolo:

(in tema di castità)
- Hai delle abitudini sensuali? Reagisci a pensieri, desideri, immagini sensuali?
(non ho bisogno di dire che 'sensuale' sta per sessuale, immagino) - Hai fatto uso della pornografia? Hai il vizio della masturbazione? Sei cosciente che questo vizio, con una lotta metodica e con l'aiuto di Dio si può vincere?
(che la masturbazione sia una fissazione del corpo clericale già lo sapevamo ma quello che è assurdo è l'uso dei termini 'vizio' e 'lotta'. Reprimere non è mai un segno di equilibrio mentale)
(continuiamo: siamo in tema di fidanzati)
- Siete impantanati nella sensualità?
(Beh, questa è poesia. 'Impantanati' è un termine fantastico! Vorrei solo sapere quali sono i canoni di giudizio. Quanto sesso devo fare, o quanto ci devo pensare, per essere 'impantanato'?)
- Lo sapete che se il vostro amore non vi porta a Dio è amore egoistico e inquinato?
(ma passiamo al matrimonio dove l'atto sessuale diventa 'atto matrimoniale'. E già, dopo il matrimonio si può!)
- Cercate di compiere l'atto matrimoniale purificandovi prima da ogni egoismo? - Cercate di abolire nel vostro atto matrimoniale ogni volgarità e leggerezza? Seguite le indicazioni della Chiesa nell'uso degli anticoncezionali? Crescete nel perdono reciproco e nella delicatezza?
(e ancora...)
- C'è in me l'idolatria del sesso? - Sei cosciente che è considerata confessione sacrilega la confessione in cui hai taciuto volontariamente qualche colpa grave?
- Lotto con le abitudini borghesi?
(Quali? Quelle del Vaticano?)

Tutto ciò che avete letto è vero e comprovato. Ripeto: è un elenco che un prete consegna ai padrini dei cresimandi per prepararli al loro corso cristiano. Ma non vi pare pericolosa una persona, sebbene sia uomo di Chiesa, che castiga moralmente i comportamenti e le abitudini sessuali in generale? Senza prendere in considerazione l'equilibrio tra corpo, mente e spirito potrebbe destabilizzare alcune persone fragili di animo.
Non credete che quando si parla di fondamentalismo religioso sia da immaginare più o meno con questo tono minaccioso, proprio quello usato nelle domande citate?
Ma poi mi chiedo: la gente di fede cristiana lo sa che la sua religione è in continua contraddizione? Non parlo degli scandali sessuali e finanziari (sarebbe come sparare sulla Croce Rossa) ma mi riferisco a quando si celebra una messa. Ormai si è pieni di formule vuote, frasi ripetute così tanto da perdere non solo di significato ma di azione. La Chiesa cristina oggi è questo. Un contenitore pomposo ma vuoto.
Sono consapevole che la preparazione di un documento meschino come questo, che mira al senso di colpa - leva sulla quale si è basato il radicamento della cultura cristiana sin dall'inizio della sua storia - è stato realizzato da un singolo e quindi non è mia intenzione generalizzare. Ma questo rappresenta parte del mondo clericale, sempre più lontano dalla realtà comune, dai bisogni delle persone e chiusa in una sfera di dogmi secolari (pardon, religiosi). Se si unisce questo alla barriera creata dagli sprechi e dallo sfarzo di alcuni eminenti illustri della gerarchia vaticana allora mi sento di condannare la Chiesa Cattolica alla stregua di una setta come Scientology: un istituzione che mira al lavaggio del cervello più che a una liberazione dello spirito.