venerdì 20 novembre 2009

L'uomo che fissava le capre


















Film contorto quello del regista PierSilvio, un metafilm cinetelevisivo da gustare comodi comodi sulle proprie poltrone, sempre più confortanti, sempre più meccanicizzate, con il bicchierone di popcorn in mano e il telecomando dall'altra invece che la mano della ragazza.
Sì perché la novità di questo modo di fare cinema, tramandato in famiglia come un artigiano del business, è quello di somministrare lentamente e a piccole dosi il blocco cerebrale.
Trama. Gino compra l'ultima offerta della famiglia Berlusconi, il cinema "in diretta", un pacchetto di film in anteprima da gustare dalla sicurezza della propria casa senza scomodarsi, scendere e andare al cinema. Tutto sta nel focolare domestico. L'analogia con Roosevelt è evidente: come il buon presidente raggiungeva le case, e così i cuori, delle famiglie attraverso la radio, il pargolo PierSilvio fa un favore al paparino disponendo un collegamento a tutte le case raggiunte dall'offerta cinema, mentre Silvio stesso si prepara la calzamaglia rossa e la barba folta in vista delle feste. Dal 'scendo in campo' al 'scendo il camino'.
Insomma Gino, tutto contento, si mette davanti alla tv: ha 50 film da vedere entro la settimana, pena un voto di castità e la perdita istantanea di tutti i capelli. Si prepara una tonnellata di mais tostato che si fa scaricare direttamente da un'autobotte imprestatagli da un cugino, accende la tv e da il via allo spettacolo. Finalmente un po ' di spettacolo. Non se ne poteva più di queste cagate del pomeriggio, pensa Gino., mentre il sole pian piano, e offeso, si spegne.
E' notte, Gino è arrivato alla visione del 11esimo film. Due asticelle a mo' di Arancia Meccanica (che tra i film in programma, maledizione, non c'è) gli tengono divaricati gli occhi. Guarda, guarda tutto, ingordo di spettacolo, fissa lo schermo con un'attenzione sovrannaturale.
Poi un'interruzione di programma.
Si vede la casa di Gino. La sua stanza da letto. Sua moglie nuda con i vestiti lacerati a terra. Due uomini, probabilmente romeni, la picchiano e la stuprano violentemente. Gino ha paura. Non capisce cosa sta succedendo. Pensa ad uno scherzo. Ma resta immobile a guardare.
Vuole vedere come va a finire.
Ma la telecamera si sposta. Si sposta verso il salotto e inquadra un uomo in canottiera e mutande messo di profilo con lo sguardo bloccato in avanti. E' Gino. Si riconosce perfettamente. Il suo volto è colpito da un bagliore azzurrino.
La telecamera si avvicina, si fa più vicina, ormai entra nello schermo davanti a Gino e lui la vede, una lunga lama che gli sorvola la testa. Gino è di pietra, il cuore rimbalza contro il petto, ma non può muoversi.
Vuole vedere come va a finire.
Allora la lama scende sulla sua spalla e Gino ne sente il freddo raggelante, meglio di qualunque film 3D. Poi la lama avanza verso destra e Gino strabuzza gli occhi: finalmente potrà vedere "come muore un italiano". Sì, perché a differenza di come disse Quattrocchi, un uomo un tempo moriva in guerra d'ora in poi invece morirà così, davanti alla televisione, sgozzato come una capra.

Fotografia di scena da: http://notebookitalia.it

martedì 17 novembre 2009

Sei gradi di separazione

Trama. Dopo aver appena imparato a leggere, un ministro decifra attentamente dei messaggi in codice inviati a quattro testate giornalistiche, di cui due televisioni, un giornale di destra e uno di sinistra. Nei messaggi viene scritto che un gruppo armato territoriale farà "opposizione dura, all'occorrenza anche violenta, che colpisca il regime".
Questo secondo il ministro. Infatti, data la recente acquisizione della capacità di leggere, interpreta erroneamente il messaggio, il quale viene scambiato per un'ammonizione in una lingua sconosciuta: quell'alfabeto, ancora così ostico per il ministro che alle elementari dedicava più il suo tempo a bruciare i soldatini abbronzati che ad imparare, lo porta ad esclamare: "Per me questo è arabo".
Perciò, il messaggio in italiano scambiato per arabo, viene immediatamente collegato a 'seri segnali' di una probabile cellula terroristica di origine islamica radicata in Lombardia, nelle impenetrabili montagne del Grana Padanistan.
Ovviamente non poteva mancare un parallelo pure alle Br. Il ministro quindi ipotizza l'esistenza di un gruppo islamico di sinistra terrorista. Brutta bestia.
La tensione è alle stelle è così il ministro, insieme ai suoi colleghi scesi dagli alberi per l'occasione, decidono di passare ad una netta risposta in stile Fbi. Ma mentre gli americani utilizzano la tecnica delle 'reti' per imprigionare preventivamente le conoscenze del terrorista in attesa che queste si rivelino fondate o meno, il ministro e suoi aiutanti applicano l'antica disciplina dei 'sei gradi di separazione'. Secondo la formula ogni singolo essere umano è connesso a una qualsiasi altra persona nel mondo attraverso soli sei passaggi.
Così la ricerca ha inizio. Solo i ministri si trovano davanti un'altra enorme difficoltà: dove stipare quella gigante presenza terroristica, quale si sarebbe rivelata l'intera popolazione mondiale?
Per questo, uno dei suoi tirapiedi, avente lo spiccato dono della semplificazione, propone di rendere qualunque automezzo su strada una prigione, con tanto di sbarre. In questo modo, oltre ad avere un continuo via vai, in tutta sicurezza, di detenuti su strada, avrebbero potuto costruire nuove strade, certamente utili, in modo da fare anche un favore ad un suo amico costruttore che in quel momento, preso da faccende legali, si trova senza il tempo necessario per innalzare palazzi e costruire ponti.
Epilogo di riflessione per questo film che vede il ministro soddisfatto della messa in sicurezza del suo paese che però si chiede: "E adesso quei giornali che abbiamo salvato, a chi li vendiamo? Io mi stanco dopo le prime due righe..."

Nella locandina del film si può notare facilmente quale dei tre è il terrorista.

giovedì 12 novembre 2009

Anni ruggenti


















Trama.
Un paese della Nato vuole capricciosamente partecipare alla guerra dei Grandi e per questo i piani alti incaricano la polizia segreta di scovare qualche cellula terroristica all'interno del paese.
Dopo anni il clima resta infelice e si cerca di capire perché sono ancora così pochi i casi di terrorismo scovati dalla polizia: una volta viene rapito un musulmano e venduto agli arabi e agli americani per essere picchiato. E' un grande scandalo, anche perché il musulmano in questione viene tacciato di essere un pezzo grosso di AlQueda. Ma ancora non basta. Anzi, alla fine sembra ancora che l'uomo non c'entri nulla e fa causa allo stato. Poi vengono pestati dei ragazzi noglobal all'interno di una scuola ma anche lì si prende l'abbaglio: altro non sono che manifestanti ai quali viene spaccato un naso o fatta qualche torturina, nessun terrorista. Anche questa volta la magistratura chiude un occhio.
Poi sembra arrivato il gran momento quando un libico scaglia una bomba contro una caserma. Ma non c'è nessun morto e anzi lui si fa esplodere una mano. Un po' poco per gareggiare contro chi ha fatto cadere una torre con un aereo. Tra l'altro gli hanno trovato il computer pieno di dossier sui politici e sul presidente del consiglio, ma chi non vorrebbe farli fuori quelli. Inefficace come accusa.
Lo stato è nervoso, la polizia sotto pressione si sfoga contro i drogati anoressici zombie in carcere.
Poi finalmente giunge il giorno. Un tg parla di 'cellula terroristica'. 17 algerini. Perfetto! Nemmeno in Afghanistan potevi beccarne tanti insieme. Fabbricavano armi? No forse no, ma documenti falsi per calciatori. Ah, e facevano truffe. Loro. Perfidi terroristi cattivoni. Già si vede il ministro Maroni pregustare il momento in cui riempirsi la bocca con quella parola, perché già la parola extracomunitario non è più quella di due anni fa, ce ne vuole una nuova. I ministri così drizzano le orecchie e si preparano alla grande operazione. Questa sembra la volta buona.
Vengono così chiamati i superiori della polizia con i quali complimentarsi.

(riportiamo qui di seguito un estratto del film)

'Sa signor Ministro, non ci speravamo più'.
'Di che cosa signor capitano?'
'Di essere ringraziati per il lavoro che in tutti questi anni abbiamo fatto'
'Beh, deve ammettere signor capitano che avete scarseggiato un po' con i fatti. Potevate fare di più'
'Ma come? Abbiamo fatto saltare un governo nel '92. Poi appena instauratosi il nuovo governatore lo abbiamo braccato e lo stiamo inseguendo ancora oggi, ma lui è una salamandra scivola via da tutti i processi; lo so prima o poi cadrà per la gioia di metà degli italiani. E' difficile sa? Lui è un terrorista molto bravo'
'Ma... Cosa sta dicendo? Come si permette?'
'Signor Ministro, non capisco. Noi come polizia stiamo facendo il nostro lavoro da vent'anni a questa parte. Abbiamo catturato i maggiori capi mafiosi e camorristici e i suoi esecutori: da Provenzano a Riina, da Dell'Utri a Previti, i Russo, Lo Piccolo, Michele Catalano, ci sono scappati Mastella e Cuffaro ultimamente. Andreotti è imprendibile, ma vedrà adesso che Cosentino non ci sfuggirà. Tutto per arrivare al Capo dei Capi. E' un lavoro lungo ma tanto lui mi sembra intenzionato a campare ancora un bel po'... Non mi sembra di aver fatto poco'
'Ma voi... Voi... Voi NON AVETE CAPITO NULLA!!! I terroristi volevo!!! Che avete fatto!!! Questi non sono terroristi! Vi sembraaaa? Noi dobbiamo portare avanti dei rapporti politici, delle missioni di pace.. Le pare che possiamo permetterci di stare dietro alla camorra o altro?"
'Ma noi veramente... pensavamo di dovere combattere la criminalità... questa non lo è?'
'NON quella che INTERESSA A NOI! Non ci posso credere. Ci avete messo i bastoni fra le ruote per tutti questi anni. Ma che avevate capitoooo??? Va beh, meno male che è uscita fuori la questione. Non è mai troppo tardi. Per ora, con la prescrizione breve, il Governo è al sicuro. Perlomeno ora avete capito chi dovete ricercare? Chi sono i veri terroristi?'
'Sì, credo di sì.'
'Bene, mi faccia un esempio'
'Beh, se fossi in loro mi nasconderei fra i rifugiati sui barconi o comunque fra quelli di cultura differente'
'Esatto! Ma ci voleva tutto questo tempo per capirlo? Su vada ora. Vada a scovare i terroristi. Quelli veri, quelli che servono a NOI'.

Da quel momento la giustizia fu, come dire, 'riformata'.

Fotografo di scena: Vauro

lunedì 9 novembre 2009

Una storia semplice

Recensione del film 'Non gli cercarono l'anima a forza di botte. Storia di un ragazzo spacciato.'

Il regista Carlo Giovanardi, che alterna la professione di documentarista a quella di sottosegretario alla Presidenza, ha concluso un lavoro sulle carceri per indagare come muoiono i detenuti di oggi. Quest'opera, probabilmente la meglio riuscita, giunge con astuzia investigativa alla conclusione che generalmente il detenuto muore della stessa causa per la quale finisce dentro. Così un colpevole di omicidio morirà ammazzato, il ladro morirà derubato, lo stupratore morirà stuprato e il drogato morirà drogato. Una storia semplice.
Nel film Giovanardi ha cercato di mostrare lo sfiancante lavoro di volontariato che le guardie mettono continuamente in atto nei confronti dei detenuti. In particolare le caritatevoli carezze di un poliziotto penitenziario si trasformano in lividi su un caso disperato di anoressica tossicodipendenza ormai prossimo alla fine. Nemmeno la preparazione medica e umana di un carcere sono riusciti a salvarlo. Anzi, Giovanardi mostra come l'opinione pubblica e la famiglia, senza motivo, si siano accaniti contro l'istituto di detenzione per una morte ormai certa del ragazzo quando loro, sì, proprio loro hanno cercato di strapparlo dalle grinfie della sorella morte.
Quando il drogato Cucchi entrò in carcere, d'altronde, tutti là dentro lo davano ormai per spacciato.
Giovanardi, con la sua altissima professionalità comunicatrice, ha saputo con abilità raccontarci il nostro ennesimo abbaglio: quello di un'opinione pubblica accecata dal dubbio circa la serietà e le buone intenzioni di un corpo di volontari della pace al nostro servizio, le guardie e i politici, i quali vogliono solo il nostro bene. Il nostro e quello di nessun altro.
In tutta risposta all'ondata di odio, e per far capire che la droga è un reato, Giovanardi testimonia anche la prova alla quale i massimi esponenti si stanno sottomettendo in questi giorni, il test antidroga. Per ora nessuno è stato picch...ehm, assistito. Tutti sani come pesci.

Il pubblico, l'unico colpevole di questa storia, è invitato, per riparare l'indignazione manifestata, a confessare il proprio peccato all'899.10.12.423. Una squadra di volontari aiuterà ad estirpare il male prima che il male estirpi voi. Nel gruppo troverete una telecamera: l'occhio di Giovanardi.

Nella foto: Stefano Cucchi dopo le amorevoli cure

giovedì 5 novembre 2009

Il giorno della suina

Viene pubblicato di seguito uno stralcio di sceneggiatura dell'inedito film, prossimo nelle sale (se saranno ancora aperte al pubblico).

Trama.
Quella che era iniziata come una normale influenza diventa una pandemia killer della quale è scappato il controllo alle istituzioni mediche. I mass media lanciano l'allarme: è necessario rintanarsi dentro le proprie case, non uscire, non vedere altre persone, solo aspettare. E tenersi aggiornati dalla tv. Né radio, né telefoni, né internet: utilizzando l'aere questi mezzi potrebbero essere portatori di virus, dice la tv. Solo la tv, dovete guardare solo la tv, dice la tv.
E così tutti si chiudono in casa, senza uscire, senza vedere altre persone, ma solo la tv. Aspettando che sia la tv a dire quando è finita la guerra batteriologica in atto.
Quella che era partita come un'influenza da maiali si è rivelata una carneficina. E' come se un piccolo organismo si vendicasse di secoli di salami e prosciutti tratti a sbaffo dall'uomo. Il killer è come se fosse vegetariano.
Poi un giorno, un ragazzo non abituato a guardare la tv, esce di casa, incurante del coprifuoco. Si allontana e per caso passa davanti ad un ristorante. Qui vede la classe dirigente al potere che brinda, balla, beve felice e canta a squarciagola in compagnia di quelle che a prima vista paiono escort. La mani passano sulla tavola e giungono alla bocca traboccanti di affettati.
Ma come? Si chiede il ragazzo. E avvicinandosi alla finestra scopre che i politici si spartiscono salami e prosciutti, proprio quelli vietati alla popolazione chiusa in casa, terrorizzata dal virus, aspettando un segnale dalla tv. Il ragazzo entra per avere spiegazioni. Tutti restano di pietra. Il ragazzo chiede: "Ma c'è qualcuno in tv?". "No, stiamo dando programmi confezionati. Abbiamo costretto Vespa e la DeFilippi a lavorare a regime. Sembravano contenti. Ne avranno per anni. E con loro, anche il pubblico". "Ho capito. E voi qui a festeggiare?". I politici fanno spallucce. "Devi capirci ragazzo. Guarda le nostre agende. Sono piene di impegni. Non ci siamo fermati tutta la vita. Ora vogliamo solo distrarci un po' prima di riprendere seriamente il lavoro. Ora che sai tutto, e noi non abbiamo tirapiedi per pestarti, unisciti a noi. Godrai per il resto della tua vita. Qualsiasi eroismo è oramai inutile".
Il ragazzo resta fermo, pensieroso. Qualsiasi eroismo è inutile. Certo, con un'influenza così là fuori, perché rischiare di fare l'eroe?

Immagine da http://farm4.static.flickr.com/

domenica 1 novembre 2009

A Beautiful Mind

Trama. Nel laboratorio di Guerra, uno scienziato scopre la formula per mettere fine a tutte le guerre, in particolare quella in Afghanistan che tanto sta a cuore alla società che lo ha incaricato degli esperimenti. Trattasi della 'legge del falso scandalo': secondo la legge è utile pensare alle questioni della pace e della guerra in termini economici. Mentre per la guerra è più facile, non è lo stesso per il processo di pace. Infatti, chi pagherebbe i nemici per avere la pace? I nemici, per definizione cavalleresca, vanno sconfitti. Non pagati. Invece lo scienziato, davanti a tale legge, non può far altro che dire ai piani alti: "Per avere la pace, bisogna pagare". L'indignazione dello stato è talmente grande che subito si decide per insabbiare la scoperta e tacciare lo scienziato come pazzo. Quest'ultimo prova a far sentire la sua voce ma i giornali non gli danno ascolto. Tutti gli voltano le spalle, tranne un ragazzo, scappato dal suo paese quando infuriava l'emigrazione di cervelli, che lo ascolta. "Prima che io diventi pazzo veramente, torna nel tuo paese e dì quello che ho scoperto. Sei l'unica speranza. Vai!". Il ragazzo, sentendosi investito di tale prestigioso compito, torna nel suo paese, si reca in parlamento e tiene una conferenza privata in cui elenca i benefici della scoperta scientifica. Tutti ne sono entusiasti ma sono preoccupati per la loro immagine all'estero. "Certo è che sarebbe bello finire con la guerra, chissà quanti elettori guadagneremmo e quante vite salvate che la Chiesa ci ammirerebbe. Solo, come si fa con gli altri?". Il dilemma è forte ma si decide per attuarlo in segreto. Perciò un gruppo di diplomatici si fa carico di partire, andare dai responsabili dei nemici e pagarli perché non uccidano più i propri connazionali.
Per un po' di tempo le cose sembrano andar bene ma poi interviene un giornale che denuncia pubblicamente quest'atto deplorevole.
E' fatta.
Ora tutti sanno. Inutile tirarsi indietro.
Basta bugie. Diciamo le cose come stanno e che tutti seguano l'esempio.
Per avere la guerra bisogna pagare, si vendono le armi e si comprano terreni. Per avere la pace si devono pagare i nemici. Questa è l'idea.
Ma gli sguardi puntati degli altri paesi sono troppo pesanti e l'Italia, come al solito, non regge il confronto internazionale.
E così alla fine, la colpa è dello scienziato. E la guerra può ricominciare.