giovedì 29 ottobre 2009

L'ultima sigaretta












Primo film della storia del cinema - in realtà si tratta di un cortometraggio - girato con una telecamera di sorveglianza. Il regista napoletano mostra uno spaccato reale della sua città.
Trama. Siamo a Rione Sanità. Mariano Bacioterracino sta fumando inconsapevole l'ultima sigaretta. Il killer camorrista arriva, fa finta di niente ed entra nel bar. Quando se ne esce uccide con due colpi (anche se la voce narrante parla di quattro) l'uomo appoggiato all'uscita: un colpo al braccio e uno alla testa. Non si sa il perché. Si pensa ad un regolamento di conti. La chiazza di sangue si allarga e il pubblico si chiede chi può essere stato.
Note. Grande prova attoriale da parte dei protagonisti, presi tutti dalla strada. In questo film di denuncia il regista ha voluto criticare l'omertà degli italiani di fronte ai fatti della criminalità organizzata. Si vede una donna allontanarsi "come se avesse assistito ad un tamponamento", un padre con una bambina e un ragazzo che porta via il suo banchetto. Tre attori da oscar i quali, senza dire una parola, mostrano il sentimento di assuefazione al crimine solo con i loro atteggiamenti. Davvero riuscito.
Infine, attraverso l'idea della telecamera di sorveglianza il pubblico si trasforma in poliziotto per cercare di identificare l'assassino.

Come se nessuno lo sapesse...
Alla fine, si sa, è stato il maggiordomo.

Per vedere il film cliccare qui

mercoledì 28 ottobre 2009

Non guardate quella scarpa














Il film esce oggi nelle sale cinematografiche e già si inserisce in una nuvola di successi. Solo la pioggia rimane acida. E il protagonista non ha l'ombrello.

Trama. Un omaggio alla storia del giornalista iracheno Muntazar Al Zaidi, famoso per il suo lancio delle scarpe all'ex presidente americano George W. Bush. Del giornalista, trasferitosi a Ginevra, viene mostrata tutta la sua umana rabbia come testimone di omicidi civili, bimbi rimasti orfani e donne maltrattate a causa della guerra. Si scopre come l'uomo sia rimasto per 9 mesi prigioniero nel carcere di Bagdad, torturato e picchiato, colpevole di aver lanciato un messaggio chiaro all'amministrazione americana: "noi non vi siamo grati".
C'è chi lancia fiori, c'è chi lancia scarpe. Può cambiare l'odore ma ad Al Zaidi ha cambiato la vita. Si trova a Ginevra per farsi curare il setto nasale seriamente danneggiato, le dita dei piedi rotte, lo shock di essere stato attaccato ai cavi elettrici e per ricominciare una nuova vita. Tutta la gente lo conosce, quando lo saluta gli guarda le scarpe, le nazioni rivendicano la manifattura di quel paio divenute così famose. C'è addirittura chi pagherebbe 12 milioni di dollari per averle.
Ma Al Zaidi nonostante tutto non ride. Alla fine del film si vede un Obama vincitore del Nobel per la pace mentre continuano i maltrattamenti a Guantanamo e i morti in Iraq.
A nulla è servito il cerchio rosso che il regista ha voluto disegnare intorno alla testa del neopresidente. Nessuno ha provato disprezzo, nessuno in sala ha lanciato una propria calzatura.
Tutti continuano a chiedere di quelle scarpe, quelle che hanno fatto inchinare per un attimo il presidente più potente del mondo.

Commento del regista: "d'altronde ce lo aveva detto McLuhan. La scarpa aveva un messaggio ma il messaggio è diventato la scarpa stessa".

lunedì 26 ottobre 2009

Shine on the dark side of the moon

Mentre in Italia si cambiano i vertici trans-nazionali del Pd, nello spazio è iniziata la corsa all'oro. Se gli indiani non hanno contrastato l'immigrazione ed ora vivono nelle riserve, lo stesso possono dire i marziani. Aspettiamoci un'imminente invasione.
Siamo noi, abitanti globali, che con i nostri barconi spaziali andiamo a cercare l'acqua perché qui già ci manca. E già abbiamo paura di soffrire la sete. E per farlo abbiamo preparato una spedizione degna delle fatiche di Fitzcarraldo.
In breve ecco il progetto della Nasa: un proiettilone di nome Centauro verrà sganciato sulla superficie lunare sollevando nel punto dell'impatto una nuvola di detriti e creando un cratere artificiale largo quanto un terzo di un campo da calcio di profondità di 4 metri.
Una sonda catturerà così i frammenti liberati in cielo e grazie all'analisi potremmo finalmente sapere se sulla Luna c'è l'acqua.
Finalmente.
Non vedevo l'ora.
Se c'è poi chissà quale metodo si troverà per recuperarla. Sono curioso.
Magari , per recuperarla, lanceremo delle bottiglie di plastica. Quando si parla di acqua sono quello che sappiamo produrre meglio, le bottiglie.
Già me le immagino una volta arrivate sulla Terra. Altissima, Purissima, Spazialissima canteranno le pubblicità. Magari faremo un bel centro commerciale lassù, aperto 24oresu24 così che ogni abitante della Terra si possa fare un giro nello spazio, una bevuta sulla Luna e, perché no, una pisciatina su Saturno.
Che bella sarà la Terra quando berremo l'acqua della Luna, l'acqua che arriva direttamente dal cielo. Perché si potrebbero far cadere direttamente bottiglie dal cielo, no?
La pioggia, perdio, ma nessuno ci ha ancora pensato?
Ogni goccia una microbottiglia, rigorosamente di plastica.
Quando piove non devi far altro che stendere la mano fuori dalla finestra e fare il carico d'acqua.
Ma poi ci sarebbe la crisi dei centri commerciali e non ci sarebbe più lavoro.
Allora facciamo così: le abitazioni d'ora in poi saranno costruite all'interno dei centri commerciali e un tubo gigante farà confluire tutta la pioggia microconfezionata solo lì dentro. Così tutti ci vorranno abitare.
E non ci sarebbe più crisi.
Che bello il mondo quando si berrà l'acqua della Luna.
E' bastato un razzo per arrivare nella zona d'ombra.
Là, dove non batte il Sole.

Credo che la scienza ci abbia abituato a non cambiare abitudini. Perché farsi problemi sul consumo d'acqua che, se va avanti di 'sto passo ci lascerà assetati molto presto, quando è più facile bombardare la Luna? Incredibile. E' più facile far attraversare lo spazio da un razzo, farlo cadere nella zona d'ombra della Luna che cambiare abitudine e soppesare meglio il nostro consumo dell'orbe terracqueo. Questo sì che è progresso. La scienza verso la zona d'ombra della Luna lascia un'inevitabile zona d'ombra nelle nostre menti.

Nell'immagine: un fotogramma del film di Méliès "Viaggio sulla Luna"

giovedì 22 ottobre 2009

Ciò che il capo ha detto di dire. Il giornalismo (?) di Brachetti&Co.


Finalmente sono arrivate.
Le scuse.
Ce le aspettavamo.
Le scuse.
Sono arrivate con una facilità che non si può non pensare all'ennesimo piano politico preparato a tavolino.
Le scuse di Brachini dovrebbero essere trattate in tutto il mondo per un'analisi del linguaggio.
E' il linguaggio del servo. Dell'informazione serva del potere.
Ma andiamo per ordine. Ordine, sì. Ordine e disciplina, come vorrebbero alcuni.
Dopo il servizio che condanna alla stravaganza, sinonimo di comunista e nemico dello stato a quanto pare, il giudice Mesiano, lo pseudo-giornalista Brachini (lo pseudo è di norma altrimenti mi sanguina il cuore) ha chiesto scusa. E lo ha fatto attraverso la stessa trasmissione da cui ha lanciato la provocazione, e ha chiesto scusa senza contradditorio. Sì perché ci vorrebbe anche il contradditorio per le scuse. Mentre lui si è contraddetto. Altroché.

Lui di solito va a braccio. Ma oggi leggerà ciò che ha scritto.
Che tradotto diventa: lui di solito va a braccetto, con il capo, e oggi ci leggerà ciò che il capo gli ha detto di dire.

Ma andiamo con ordine. Ordine e disciplina come vorrebbero alcuni che credono il Giornale un giornale (che ha intitolato la notizia delle scuse di Brachetti "Tre domande al giudice Mesiano").
"Fra i tanti servizi realizzati da una testata, ci si concentra solo su quelli un po’ più sfortunati." ha detto Brachini. Sfortunati? Sfortunati perché esiste ancora una stampa che parla e un'opinione pubblica che si indigna per un servizio chiaramente confezionato contro il giudice che ha condannato il tuo padrone per corruzione? Ah sì, allora siete stati sfortunati.

"Mi impegno a non trasmettere più quelle immagini, cosa che dovrebbe fare anche chi indignato mi critica, e criticando le ri-trasmette in continuazione, dalla Sky di Murdoch a Raitre, trasformando il rimedio in qualcosa di più grave della malattia." Questo più 'grave della malattia' mi fa capire ancora che purtroppo Brachini non ha capito cos'è l'informazione.

"Le critiche appunto, o meglio la marea di insulti e di lezioncine piovute su di me, sulla giornalista autrice del pezzo e sulla testata. Nel polverone vorrei che il pubblico avesse gli occhiali a infrarossi per separare il giusto da ciò che è strumentale."
Qui Brachini incomincia a prendere una deriva particolare: insulti mi sembra abbastanza normale... Che voleva? Il Pulitzer? Il nobel per la pace? Per quanto riguarda le lezioncine credo che non gli sarebbero bastati 10 anni di università, a lui e alla giornalista incaricata di confezionare il pacco, per imparare il significato di lealtà professionale. Io nel polverone spero la prossima volta che ci sia qualcuno che meni le mani... Tanto non sarebbe visto...

"Noi non pediniamo nessuno. [...] Mesiano è diventato un personaggio di pubblico dominio. In questo contesto ho deciso di trasmettere quelle immagini, per dare sostanza televisiva a una figura di cui si leggeva e si sentiva parlare, ma di cui poco si era visto."
Come faceva un personaggio di cui si era sentito parlare poco essere di pubblico dominio? Lo è diventato sicuramente dopo il video trasmesso su Canale5. Così gli avete dato una sostanza. Dopante. E poi se non è un pedinamento quello...

"Nel servizio non si fanno valutazioni politiche e giuridiche. Non si usano epiteti infamanti. La battuta sui calzini può non piacere. Ma rimane una battuta. Ricordo con terrore un romanzo di Kundera, Lo scherzo, in cui il protagonista finisce ai lavori forzati per un umorismo non gradito. Per fortuna era la Cecoslovacchia comunista degli anni ’60."
Che non si facciano valutazioni è vero. E' privo di senno un servizio del genere, come può avere un contenuto. Lo si capisce subito che è la reazione patetica di una persona delirante e affamata di potere che vede il suo impero crollare a piccoli pezzi. E' una reazione alla paura di essere scoperto. E reagisce con una battuta. Quello che viene meglio a Berlusconi. Forse solo quello, a dire la verità. E meno male, ribadiamo, che non siamo in epoca comunista. Pfui!

"Certo, c’è l’aggettivo «stravagante». Come ricorda lo Zanichelli, stravagante vuol dire raro anche nel senso di originale, fuori dagli schemi. E allora?"
Ma sullo Zanichelli c'è 'prendere per il culo'? O 'fesso'? Se no devo inventarla una parola per descrivere come mi sento.

"il pedinamento ossessivo è un’altra cosa"
Già. Questo è pedinamento normale, base. Non basta?

"C’è una sproporzione sospetta, insomma, tra l’azione e la reazione, tra il buffetto e le cannonate, tra il termine stravagante e quelli che soprattutto i colleghi hanno rifilato a me: servo, killer, vergogna, barbarie. Ma le lezioni davvero inaccettabili sono quelle che arrivano dal quotidiano la Repubblica. Non è forse lo stesso che ha pubblicato le immagini della villa del premier, con ospiti internazionali colti in frangenti in cui neanche del colore dei calzini si poteva discutere? Non è forse lo stesso che ha pubblicato le immagini del bagno della residenza romana del premier, rubate con un telefonino? Un magistrato ricopre un ruolo pubblico importante, ma se non sbaglio anche la presidenza del Consiglio è un’istituzione importante."
Eccoci qui. Voi spiate il mio padrone, che va a prostitute e poi racconta balle alla moglie e al popolo e io vi spio il giudice che lo incolpa di corruzione. Pari e patta.
O non è la stessa cosa?

Ma veniamo alle tre domande, che sono:
"Primo, la promozione di Mesiano è meritata professionalmente o come sostengono molti è un premio politico per una sentenza che di fatto va contro il premier? Secondo, le idee politiche di un giudice, per quanto legittime, come agiscono sulla sua serenità e sulla sua indipendenza? Terzo, è vero che nel processo civile non serve un collegio di tre magistrati, ma non è «stravagante» decidere su una somma di 750 milioni di euro senza avvalersi di tecnici e consulenti?"
1) Ovviamente ci vorrebbe un premio a chi riesce a mandare in prigione Berlusconi. Nemmeno l'intervento dell'Onu lo scalzerebbe dalla sua poltrona quando dovrebbe, in un paese democratico, perlomeno essere agli arresti domicialiari. Almeno. E comunque non credo che la promozione sia una cose che si decida così facilmente.
2) E le idee politiche di un giornalista ipocrita che dice di fare televisione libera?
3) Vero. Pare strano che la magistratura italiana per una volta non abbia fatto cadere in prescrizione un processo a Berlusconi. Davvero "stravagante".




mercoledì 21 ottobre 2009

Roma, 17-10-09. Un nuovo modo di manifestare?

Dopo le parole di Mihai a proposito della manifestazione antirazzista, riporto quelle dell'amico Karim Metref, giornalista algerino. Karim sarà all'Open Mind di Torino e alla Cooperativa libraria La Torre (CN) dove, insieme a me, presenterà Milton Fernandez.

"Sabato 17 ottobre 2009 alle 14.30, da Piazza della Repubblica a Roma, partiva una manifestazione che in aspetto assomigliava a tutte le altre. Ma la protesta del 17 ottobre, nonostante l'aspetto era molto diversa. Profondamente diversa nella sua essenza stessa.

Da 20 anni, dall'uccisione di Jerry Masslo nel 1989 a Villa Literno fino a oggi di manifestazioni antirazziste in Italia ce ne sono state tantissime. Ma questa è la prima manifestazione nazionale contro il razzismo e contro le leggi razziste convocata e maggiormente organizzata da organizzazioni autonome di immigrati. Gli immigrati non erano soltanto molto numerosi in piazza come è stato segnalato in molti media. Questa volta non hanno fatto solo da porta bandiere o da comparse per portare un po' di colore nel corteo come erano soliti. Questa volta gli immigrati erano l'anima di questa manifestazione. Ma questo fatto, sembra, o non è stato chiaro a tutti o addirittura non è piaciuto per niente.

Fin dall'inizio, il “Comitato 17 ottobre” è stato guardato con diffidenza. Ignorato dal mondo della politica e di conseguenza anche da quello dei media potenti. In effetti la manifestazione del 17 ottobre sembra piovuta dal cielo. Ne hanno parlato un pochino alcuni piccoli giornali di sinistra ma timidamente, nelle ultime settimane. Le grosse macchine che di solito mobilitano per le grandi manifestazioni della sinistra (Cgil, Arci...) si sono mossi solo negli ultimi giorni. I partiti più grandi, alcuni hanno fatto finta di niente e altri hanno affidato la questione al loro reparto “immigrazione”, di solito poco numeroso e poco influente. Gli unici a crederci oltre ai comitati degli immigrati sono state piccole organizzazioni, piccoli partiti extraparlamentari, movimenti di base... Che hanno fatto insieme a centinaia di immigrati uno straordinario lavoro di informazione e sensibilizzazione capillare nelle strade, nei luoghi di lavoro, nei luoghi di raduno della gente, quella vera, quella che lavora per vivere, quella che subisce la crisi in pieno. Al punto che negli ultimi giorni le direzioni dei partiti sembra siano state confrontate ad un dilemma importante: o continuare a negare la loro solidarietà e affrontare l'ennesima incomprensione da parte delle loro basi o raggiungere il corteo all'ultimo minuto. E hanno per la maggior parte scelto la seconda soluzione.

Alla partenza da Roma ovviamente c'erano tutti, o quasi. Ormai la vetrina era allestita e tutti ci volevano un posto in primo piano. Come al solito, partiti, sindacati e grosse associazioni hanno inondato il corteo di bandiere, magliette, capellini, striscioni, palloncini e chi più ne ha più ne metta. Non si sono fatti sfuggire questa occasione per praticare il loro sport favorito: quello di calpestarsi i piedi ad ogni manifestazione unitaria.

L'accordo stabilito, tra il comitato 17 ottobre e le varie organizzazioni presenti, di lasciare la testa del corteo al comitato unitario e di schierare le loro truppe dietro è stato più o meno rispettato dalle basi (anche se numerose bandiere hanno giocato a rincorrersi fino alla testa del corteo). Ma le grosse personalità l'hanno completamente calpestato. Il comitato organizzativo ha dovuto fare la caccia al politico per rimandarli indietro, a stare un po' insieme alle loro basi. Alcuni sono stati richiamati all'ordine varie volte... alcuni sono rimasti testardamente in testa di corteo nonostante le richieste e gli accordi.

Una nuova prova se ce ne fosse bisogno che se da una parte la gente “normale” è matura per un nuovo modo di fare e vivere la politica, le classi dirigenti rimangono il principale ostacolo a tale cambiamento.

Perché, anche se non si è visto ma, la manifestazione del 17 ottobre ha segnato un nuovo modo di protestare, di fare politica. Ed è giusto che questo cambiamento venga dai comitati di immigrati.

L'immigrato nel mondo ricco del Nord in genere e in Italia oggi in modo molto particolare rappresenta il gruppo sociale sul quale le ingiustizie dell'ultra liberalismo arrogante si esercitano con più ferocia. Come l'ebreo nell'inizio del secolo in Europa, come il nero negli Stati Uniti del dopoguerra, l'immigrazione costituisce in Italia una specie di popolo classe utilizzato per colmare i buchi causati dallo sfascio del patrimonio pubblico. Vittime delle vittime. Schiavi degli schiavi. Braccia sfruttabili a volontà a disposizione di piccoli agricoltori, industriali e imprenditori edili strangolati da un mercato controllato dai grandi gruppi che pretendono prezzi sempre più bassi. Servi e serve a disposizione di una famiglia strangolata dalla quasi assenza di welfare e di politiche per la cura di anziani e bambini. Capri espiatori a disposizione di una politica, che non può e non vuole nemmeno più dare risposte ai problemi veri, e che li usa come spauracchio per tenere i cittadini lontani dalle domande vere. Una schiavizzazione cominciata con il rapporto stretto tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno della “Turco-Napolitano” normalmente proseguito nella “Bossi-Fini” per concludersi del tutto logicamente nell'attuale “pacchetto sicurezza”. Rendendo l'immigrato sempre più vulnerabile, sempre più ricattabile.

E come nell'Europa del 900 e come negli Stati Uniti del dopoguerra, è dai diritti di chi più di tutti è senza diritti che comincia la lotta per migliorare la vita di tutti. Oggi, in Italia, la lotta per la dignità e i diritti di tutti ricomincia dalla lotta dei migranti.

La manifestazione del 17 ottobre non è una piccola sfilata tutta gentile che dice che il razzismo è una brutta cosa e basta. La manifestazione ha un piattaforma. Una piattaforma volutamente radicale. Troppo radicale per chi vuole essere politicamente corretto ma non affrontare mai i problemi alla base.

La manifestazione del 17 ottobre chiama quelli tra i politici e i membri della società civile italiana che hanno ancora a cuore i valori della democrazia, della libertà e dell'uguaglianza a tornare alla politica vera. Quella che si fa con la gente vera. Non da Floris, non da Santoro, non da Vespa! Non quella che scalda le poltrone, non quella che si focalizza sui festini e le veline di Berlusconi.

Ma quella che parla dei temi che Berlusconi (e credo anche tanti dell'opposizione) non vorrebbe sentire. Quella che tratta delle vere cause della crisi. Che parla di lavoro, di scuola, di sanità, di sociale e ambiente. Di beni pubblici che non devono diventare beni di pochi.

Di quella politica che non fa finta che la questione del sociale si ferma ai confini dell'Italia. Di quella che affronta le questioni nazionali e internazionali insieme perché il mondo è più che mai un tutt'uno. Di quella che non nasconde all'Italiano che se le ragazze di Benin City vengono a prostituirsi in Italia è perché la Shell-BP, la Total, la Chevron e soprattutto la Agip hanno ammazzato il mare, i laghi e le terre di cui viveva il loro popolo.

La politica vera che non cerca di abbindolare la gente con la storia che “l'immigrazione è una buona cosa. Perché porta braccia alla nostra economia e ringiovanisce la popolazione. ”

Come se fosse vero che milioni di persone costrette a lasciare la propria terra fosse una buona cosa. Come se paesi interi che si svuotano della loro linfa vitale fosse una buona cosa. Come se decine di migliaia di bambini che crescono in Moldavia, Romania, Ucraina, Polonia... senza la madre (perché la madre sta ad accudire qualche anziano o i bambini di una altra donna in Italia) potesse essere una buona cosa.

Come se fosse una buona cosa che un ragazzo che nasce a Bamako e che non ha, per poter almeno sognare un vita dignitosa, altra scelta che attraversare il deserto a piedi e poi il mare su una qualche imbarcazione di fortuna per, se sopravvive... venire a vendere accendini a Brescia.

Come se per ringiovanire la popolazione italiana non ci sarebbero modi per permettere ai giovani di avere bambini e poterli crescere senza paura e senza che sia un fardello insopportabile. Come se anche la produzione dei bambini si potesse delocalizzare verso luoghi dove viene a costare meno.

A tutto questo richiama la piattaforma volutamente radicale del 17 ottobre. Richiama ad una politica che si autorizza a ripensare il mondo e non si limita a gestire soltanto quei pochi spazi lasciati a loro disposizione dal mercato e dalla finanza internazionale. Richiama a un ritorno ai valori. Richiama a ricominciare dagli oppressi. Per ricordare che: i diritti o ce li abbiamo tutti o non ce li ha nessuno. Per far suonare il campanello d'allarme, per dire che non c'è più tempo da perdere. O ci svegliamo e ci decidiamo a cambiare radicalmente prima noi stessi e il nostro modo di pensare e di fare politica o le cose andranno solo peggiorando. Per i paesi poveri prima, per i migranti dopo e poi per tutti. Ma veramente tutti quanti!"


Karim Metref membro del Collettivo Immigrati Auto-organizzati di Torino

martedì 20 ottobre 2009

"Da domani passaparola"














Questo è un articolo scritto da Mihai Mircea Butcovan, scrittore e Osservatore romeno, su Il Manifesto. Il 27 novembre sarà ad Alba(CN) alla libreria La Torre. Se vi venisse voglia di conoscerlo di persona...

Hai appena comprato questo giornale in edicola o all'autogrill. O forse te lo ha passato un amico. O forse lo hai trovato dimenticato da qualche parte, su un tavolo. Forse stai per andare alla manifestazione antirazzista a Roma oppure sei già di ritorno. E, anche se sei rimasto a casa, passaparola. Dobbiamo lasciare segni tangibili del nostro impegno. Basta con le indignazioni periodiche. Ieri per la violenza sulle donne. Ieri per i morti nelle missioni di pace. Ieri per le morti bianche. Oggi per il razzismo dilagante. Ma poi cosa succederà domani? Due settimane fa al festival di Internazionale a Ferrara c'erano migliaia di persone in fila ordinata per indignarsi, insieme a Saviano, contro le mafie. Moltissimi giovani, davvero tanti. Per contenerli tutti, anche quelli che non erano a Ferrara, ci sarebbe voluto uno stadio e una diretta tv nazionale. Due cose che invece, nel nostro paese, sono utilizzate per ammaestrare la gente al consumismo ottimista e acritico. Molti italiani non sapranno mai dei giovani in coda a Ferrara per ascoltare Saviano. Sapranno invece di quelli che allo stadio cantano cori razzisti legittimati, con la scusa del tifo innocente, anche da qualche (dis)onorevole. Sapranno del disprezzo per le donne, legittimato da certi programmi televisivi e dalle dichiarazioni di altri politici fallocratici, dai modelli di maschilismo sostenuti persino da qualche tradizione ecclesiastica. Modelli di machismo che poi fomentano movimenti celoduristi e fascistoidi, aggressioni razziste e omofobe. Ci indigniamo per le morti bianche, una volta all'anno, con delle statistiche. Ci indigniamo per le morti nel mediterraneo, appena due volte all'anno, incuranti delle statistiche. Ci siamo indignati per la violenza sulle donne, tutte le volte che ci hanno detto di farlo, contro gli immigrati, in barba alle statistiche. «L'ha detto il telegiornale» cantava Jannacci. Anche per la fame nel mondo ci indigniamo, qualche volta, purché «rimanga a casa sua». Tanto anche stasera la tv parlerà alla gente di calcio, di veline, di motoGp e vincite ai giochi d'azzardo nazionali. Forse il telegiornale dedicherà appena qualche secondo all'indignazione di qualcuno contro il razzismo. Così molta gente continuerà a vivere di pallone, pettegolezzi e scommesse. Come se il razzismo quotidiano fosse una cosa che non la riguarda. Allora la nostra indignazione deve diventare quotidiana. Facciamo sapere ad amici, conoscenti, colleghi perché ci indigniamo. Rubiamo qualche minuto alle discussioni sul calcio, sul motoGp e sulle veline e facciamo quello che buona parte della televisione non fa. Informiamo soprattutto quelli che pensano che le morti bianche siano cosa che mai toccherà alle loro famiglie. Informiamo quelli che pensano che la violenza sulle donne sia «roba da immigrati» e che la mafia sia «roba del sud». Informiamo quelli che non s'accorgono dello smantellamento progressivo della pubblica istruzione che ricadrà sul futuro dei loro figli. Informiamo quelli che pensano che la «democrazia in pericolo» e la «restrizione della libertà di stampa» siano invenzioni di farabutti. Facciamolo ovunque, tutti i giorni, al costo di perdere qualche amico. Diffondiamo le motivazioni che ci spingono a partecipare ad una presa di posizione più che mai indispensabile. Coinvolgiamo anche chi è rimasto a casa ma facciamolo tutti i giorni. Contro la cattiveria e contro l'avarizia. Contro il culturame televisivo omologatore, per una nuova cultura dell'indignazione. Da manifestare quotidianamente. Hai appena comprato questo giornale in edicola o all'autogrill. O forse te lo ha passato un amico. O forse lo hai trovato dimenticato da qualche parte, su un tavolo. Forse stai per andare alla manifestazione antirazzista a Roma o sei già di ritorno. E, anche se sei rimasto a casa, passaparola. Passaparola! Dobbiamo lasciare segni tangibili del nostro impegno.

Ringrazio Keca per avermi girato il documento.

lunedì 19 ottobre 2009

Ma P.D. è l'acronimo di una bestemmia?


Domenica ci saranno le primarie. Anche se è sbagliato chiamarle così ma è così che le conosciamo. Facendo il punto della situazione si conclude che è necessario eleggere il segretario che terrà la leadership del partito. Per l'occasione verranno allestiti 10mila seggi in cui gli elettori potranno esprimere la loro preferenza. Questa è la seconda volta che succede: alla precedente, nel 2007, tre milioni e mezzo di elettori nominarono Walter Veltroni.
Per chi credeva che il peggio fosse ormai superato ecco arrivare al vertice questa volta tre canditi, come i Re Magi, solo senza doni.
Anzi.
Dario Franceschini, Ignazio Marino e Samuele Bersani.
Ah no, Pier Luigi.
Peccato, ci fosse stato Samuele lo avrei votato.
In realtà con le primarie non si elegge direttamente il segretario. Per questo non sono primarie. Ma si eleggono i candidati dell'Assemblea nazionale nelle liste collegate a Franceschini, Marino e Bersani. Non Samuele, quell'altro.
Vabbè. Delle secondarie... Come le scuole.
Quindi, se nessuno dei tre dovesse raggiungere il 50%+1 sarebbe compito dell'Assemblea scegliere in un ballottaggio i due candidati più votati (anche se recentemente Franceschini e Bersani hanno appoggiato la proposta di Eugenio Scalfari perché sia eletto comunque il candidato più votato a prescindere dalla percentuale).
Ma a noi questo non interessa. Perché tanto anche se ci interessasse non lo capiremmo.
A noi interessa che potranno votare i maggiori di 16 anni e chi verserà un contributo di 2 euro. Anche gli stranieri con regolare permesso di soggiorno potranno votare. In teoria anche chi non ce l'ha può farlo e rischiare l'arresto. Chissà che ci sia qualcuno pronto a dar la propria vita per quella del partito? Difficile riesumare i cadaveri, però. Solo Gesù ci è riuscito e nonostante ciò non ha fatto una bella fine.
Ci saranno pure i voti elettronici. Insomma, le hanno provate tutte per ammiccare al pubblico e dare un carattere di novità e modernità all'evento. Chissà.

Io ci ho pensato a lungo a questo momento. (Beh, non troppo a lungo a dir la verità, mi sembra già abbastanza una perdita di tempo leggerne le dichiarazioni sui giornali).
Ma voglio dire... Votare o non votare? Questo è il problema.
Perché la forma mi piace. Scegliere attraverso il voto il candidato che vuoi tu. Vabbè non proprio quello che vuoi tu ma... il tentativo mi piace.
Pensare che anche gli stranieri andranno a... Ma... Ci andranno? No, perché... Insomma anche questi due euro... Uno potrebbe dirsi: ma tanto che ci fai con due euro? Una colazione? Sì ma poi una volta al bar continueresti a pensare a Franceschini ripieno di marmellata e Bersani con della schiuma da cappuccino in testa.
Due euro non sono la fine del mondo. Però mi chiedo: perché? Perché pagare se si tratta di un diritto? Certo è che questa è l'ultima volta che si andrebbe a votare così, cioà allungare il dito e sceglierne un candidato. D'Alema e Bersani già hanno parlato di toglierla 'sta cosa. Bersani Pier Luigi, eh, non Samuele.
Cioè l'unica cosa intelligente già pensano a toglierla. Ma se le tirano proprio addosso 'sto partito di gufi!
Insomma. Il metodo è bello, forse troppo litigarello e allora viene già segnalato come prossimo tumore da operare.

Siamo chiamati alle urne (così poco c'andiamo!) che per non andare devo essere convinto.

Poi, d'improvviso, una speranza. Una scusa che posso raccontare al mio animo politico per ritenermi sollevato.
Posso rivalutare la protesta della scheda bianca!
Perché no? Pagare ma lasciare scheda bianca. Che gesto di protesta!
Voi direte: nessuno se ne accorgerà. E' una cosa talmente insignificante. Sì, ma così sto in pace con me stesso. E se fossimo in tanti... Ma tanti... Oppure rifiutare la scheda? Che dite? Si potrà? "Io non mi sento rappresentato!". Oppure "Io non mi sento italiano".
Così avrei espresso un mio diritto. Anche se ho dovuto pagare per esprimerlo.
Pagare per protestare.

Bersani.. Com'era quella là? "Vorreeei ma non voglio, fidarmi di teeee..."

venerdì 16 ottobre 2009

L'informazione in cassa integrazione

"Non fare tutto questo chiasso. Dopo tutto, non era la prima volta"

Berlusconi sta male. E' ammalato. Non vince più come una volta. Ma anche il tipo di giornalismo che si porta dietro sta male. Sta diventando ridicolo. E sta mettendo a dura prova gli italiani che tra poco si accorgeranno del grado grottesco che ha raggiunto l'informazione di parte berlusconiana.
Da poco i suoi giornali, 'Il Giornale' e 'Libero', hanno lanciato la campagna per non pagare più il canone Rai a causa di programmi come AnnoZero.
Povero Minzolini: e lui che credeva di essere riuscito ad entrare tra le grazie del premier. Forse sperava anche lui di poter entrare nell'harem sardo ma ora rischia di vedersi decurtato lo stipendio. Già me lo immagino: un direttore di un noto tg nazionale in cassa integrazione.
La cassa integrazione della verità.
Ma credo che già tutti, in tempi di crisi, ci siamo accorti che l'informazione è in cassa integrazione. Cioè ci viene somministrata una verità ridotta e a tratti, come dicevo, ridicola.
L'ultimo esempio parte dal colpo inflitto all'innocente premier: la multa che Fininvest dovrà pagare (se la pagherà) di 750 milioni di euro, la più alta nella storia giudiziaria italiana. Un altro record, dopo la percentuale di consensi da parte dei suoi elettori.
Dovrebbe essere contento.
E infatti l'ha presa con allegria. Ha commissionato due pagliacci, Claudio Brachino di Mattino 5 e Sallusti de 'Il Giornale', di creare un video per mostrare a tutti le 'stravaganze' del giudice Mesiano, il giudice che ha portato a termine la causa contro l'impero televisivo del premier. Il giudice viene seguito, pedinato da una telecamera (manco per i mafiosi è riservato lo stesso trattamento) un sabato mattino durante la sua normale vita da cittadino.
Si vede il giudice recarsi dal barbiere mentre una vocina simpatica lo descrive ancora ignaro della sua promozione (che tra l'altro promuoverlo proprio in questo frangente non è stata una furbata da parte del Csm. Che gli costava aspettare? Mah!). Egli viene mostrato come un tipo nervoso, che fuma continuamente una sigaretta dietro l'altra, e cammina avanti e indietro davanti al locale ancora chiuso. Davvero stravagante: fosse una persona normale avrebbe un barbiere a casa. E invece di camminare avanti e indietro si farebbe accompagnare da un volo di stato.
Poi si fa tagliare la barba e così si rilassa. Con la schiuma. Che stravagante. Perché non se la fa impiantare pelo per pelo?
Infine lo si ritrae su una panchina vestito, udite udite, con camicia bianca, pantaloni blu e calzini turchesi. Manco un polsino di Armani! Un bottone di Coco Chanel. E le scarpe che indossa saranno sicuramente delle copie cinesi.
Basta. Non se ne può più di 'sti giudici poveracci. Già che è costretto a pagare, il signor Berlusconi, vuole essere condannato da una persona del suo rango!
Il video in questione segue l'articolo pubblicato da Alessandro Sallusti, una statua di cera degna del museo Madame Toussand, condirettore de 'Il Giornale'. Il manichino si lamenta che il giudice è stato sorpreso in un ristorante ad esultare e a brindare una volta appreso che al premier fosse chiesto di dimettersi. "Un giudice che brinda alla caduta di Berlusconi la legge, oltre che il buon senso, deve impedire di giudicare Silvio Berlusconi."
Ha ragione. E' pericoloso, in un clima da Granda Fratello (quello di Orwell), mostrare in pubblico le proprie emozioni e quelle di molti italiani. Meglio farlo in privato. Magari dando una festa privata. A palazzo Grazioli.

La vignetta è di Rainer Hachfeld.

mercoledì 14 ottobre 2009

Un canale tutto mio

Un imprenditore, attraverso la sua tv, minaccia la più alta carica di stato. Succede in America.
Un imprenditore e più alta carica dello stato, attraverso la sua tv, minaccia... minaccia... il popolo. Succede in Italia.
E questi canali sobillatori dell'ordine istituzionale vengono considerati un partito vero e proprio. Già sapevo che politica e tv andavano a nozze ma fino a sto punto...

Comunque anche io voglio essere considerato un partito quando lancio delle critiche. Devo avere un canale satellitare tutto per me?
Se lo avessi vorrei dire che trovo ingiusto trattare i pensionati come le prostitute. Ovvero, tentare in tutti i modi di levarli dalla strada mandandoli a lavorare. Che poi dove credete che finiranno questi pensionati? Già non c'è ne per i giovani di lavoro...
Se lo avessi vorrei anche dire che io non sono più d'accordo con questo sistema industriale, dove le parole d'ordine sono produzione, flessibilità e competitività. Prima si chiede di produrre e allora servono braccia da sfruttare e noi tutti ci facciamo sfruttare per guadagnare soldi, soldi con i quali comprare ciò che produciamo. Poi si chiede di essere flessibili perché alla fabbrica serve lavorare giorno e notte e, avendo capito che un uomo o una donna hanno anche altri bisogni oltre che lavorare (ad esempio dormire), è stato richiesto di adattarsi ai turni così che quando un marito rientra a casa la moglie esce per andare a lavoro. Poi avete chiesto di capire la competitività del sistema che deve produrre di più con meno dipendenti. Sapete: le spese, la crisi...
E così licenziate.
Ma non uno per uno. In massa. Tutti insieme.
E allo stesso tempo incoraggiate che si deve lavorare di più, sempre più a lungo, magari fino alla morte (che poi questa soppraggiunga in modo naturale sul contratto non c'è scritto).
Se lo avessi questo benedetto canale dedicato alle mie critiche, ovvero al mio partito, direi che prima di assicurare la sicurezza 'sul' lavoro, vorrei fosse assicurata la sicurezza 'del' lavoro. Una domanda: perché in tempi di crisi non si può lavorare di meno ma tutti? A ciascuno, insomma, verrebbe ridotto lo stipendio ma lavorerebbe meno ore e così a tutti verrebbe assicurato un impiego. Mi sembra un buon compromesso temporaneo. Se dev'essere temporaneo come si dice. O non è causa della crisi ma della competitività? Prendiamo un insegnante che viene licenziato a giugno e che deve sperare fino ad ottobre di essere riammesso. Questo non è altro che un precario, e il precario è un disoccupato anche se un disoccupato di tipo nuovo: un disoccupato al quale è stata azzerata la forza di protestare. Immaginate: tutti gli anni la stessa solfa, la stessa disperazione che attanaglia le viscere, la stessa contentezza di ritrovare un lavoro come insegnante, anche mal pagato e sfruttato ma un lavoro che c'è. C'è. E chi si lamenta più quando il lavoro arriva anche se in questo modo? Progressivamente, anno dopo anno, uno ci fa il callo. E non si lamenta più.

Sì, voglio dire tutto questo. Voglio dire tutto questo a Draghi, alla Marcegaglia, a Berlusconi, agli industriali, al Pd, alla Gelmini, a Noemi, a tutti gli italiani voglio farlo capire.
Ma come faccio a farmi capire? Io non ce l'ho una televisione.
E qui mi sembra che in sto mondo solo la televisione si sta ad ascoltare.

fonte immagine: http://palinsesto.wordpress.com/

lunedì 12 ottobre 2009

Parole gonfiate














"Gonfio! Gonfio tutto: figli, mamme, papà, mogli, sentimenti, emozioni, amori, soprattutto amori gonfio" diceva Giorgio Gaber. Come l'aveva capita lui la società... Solo si dimenticò una parola importante che nella società di oggi viene gonfiata alla grande: la parola.
Oggi un uomo ha fatto scoppiare un ordigno artigianale davanti ad una caserma a Milano. Hanno parlato di "attentato". Lo stesso termine usato per quelli che solitamente fanno morire decine e decine, se non centinaia, di iracheni o afgani o ancora americani.
Ma questi sono già più abituati a chiamarli così. Perché faticare a trovare un'altra parola? A noi va benissimo questa: "attentato". Così anche noi possiamo diventare protagonisti di una guerra non nostra. Si continua sulla scia dei sei soldati morti inviati in mondovisione. A questo punto speriamo che succeda qualcos'altro, pena lo scemare dell'audience.

Gonfiamo, gonfiamo le parole.
Non per niente è stato dato un Nobel per la Pace a chi ha usato bene le parole. Un Nobel alla buone intenzioni, insomma. Perché solo di intenzioni si può parlare dal momento che era stato selezionato per il premio dopo due settimane dalla presa del potere presidenziale.

Ma alla fine lo sappiamo benissimo tutti che solo di parole gonfiate si tratta. Altrimenti le ultime minacce di Berlusconi ci farebbero paura invece di farci sorridere.

La vignetta è di Vannini

giovedì 8 ottobre 2009

Chi non l'ha visto?






















Tempo fa il signor presidente del consiglio è stato ad Onna. Chi non l'ha visto?
Era in televisione, a consegnare le case agli italiani. Dopo avergliele tolte. Chi non l'ha visto?
Salutava, rideva, ringraziava, stringeva mani. Mentre i media di mezzo mondo gli danno contro. Chi non l'ha visto?
Lui lo sa perché quelle case sono andate giù. Eppure non si fa problemi, remore morali, sensi di colpa, a dire: sono il vostro salvatore. Chi non l'ha visto?
Uno come Roberto Saviano lo aveva detto che per costruire si vanno a deturpare le spiagge del sud, il nord compra la sabbia a prezzi bassissimi e non la tratta perché povera di mezzi adeguati. I palazzi vengono tirati su e con il passare degli anni il sale corrode il ferro. E le case vanno giù.

Mi ricorda la favola dei tre porcellini.
Il terzo si salvava perché costruiva la casa in mattoni. Lui sì che era più intelligente degli altri. Oggi bisogno cambiare finale alla favola. Puoi essere intelligente quanto vuoi, ma rimarrai sempre un povero porco che muore sotto le macerie. Servono i giusti contatti commerciali per salvarti la vita. Serve essere il porco Napoleon.
Il presidente del consiglio lo sa perché sono andate giù quelle case che ora sostituisce con un po' di lamiera. Bella lamiera, forte lamiera.
Anche Saviano lo sapeva. Ma chi lo ha visto?

Riporto una testimonianza sull'arrivo di berlusconi a Onna.
Anna Pacifica Colasacco - Miss Kappa - è arrivata a pochi metri da Berlusconi durante lo show di Onna.
"L’arrivo del presidente era previsto ad Onna per le 15,30. Alle 14 ero già lì. Decisa ad entrare fra e con i cittadini. Cittadini pochissimi, spiegamento enorme di forze dell’ordine e protezione civile e croce rossa e dame di carità e misericordia e tantissimi giornalisti. Entro senza problema. Una curva, si apre davanti a me lo scenario delle casette mobili. Villaggetto colorato, fiori alle finestre. Il prato solo davanti ad una casa, quella che servirà per il set. Le altre hanno terra battuta coperta di paglia. Mi avvicino, apro una porta e varco l’uscio. Vedo un’abitazione che mi fa pensare ad una roulotte, ma decorosa e vivibilissima. Mi guardo intorno in cerca di cittadini. Nulla. I comitati avevano preparato degli striscioni e stavano arrivando alle 14,30, come da appuntamento. Decido di tornare all’ingresso del paese, dove si era stabilito di incontrarci. Appena arrivano i ragazzi del 3e32, la polizia si fa avanti. L’ordine è quello di non farli passare. E li bloccano. Io sono dall’altra parte. Dentro. Auto blu, sirene. Arriva Bruno Vespa. A seguire, il presidente. Mai avevo visto Berlusconi dal vivo. Fa impressione: una statua di madame Tussauds è molto più espressiva e mobile. Suda. Entra nell’unica casina col prato davanti. Mi rendo conto di essere invisibile. Ma voglio parlargli. Aggiro la casetta per raggiungere un’altra entrata. Improvvisamente un gruppo di signore, mai viste alle riunioni dei comitati, srotola uno lenzuolo, debitamente conservato in borsa. A seguire un altro. Il presidente esce dalla casina ed urlo con tutta la voce che ho, lui è lì a due passi, “presidente, venga a parlare con i cittadini”, “presidente venga a sentire le nostre istanze”. Subito un nugolo di poliziotti mi oscura, ma ora urlano anche le altre, “presidente, esistiamo anche noi, non solo i cittadini di Onna, questo non è un teatro, 5.000 sfollati chiedono di rimanere sulla propria terra”. Lui suda e si allontana verso l’asilo. Sento degli applausi, voglio vedere chi applaude, se è Aquilano. Cerco mani che battono e non le trovo. Ma gli applausi ci sono, escono da un altoparlante. Come in una sit com. Il nostro decide di abbreviare la cerimonia e, sotto i fischi, si allontana. La festa è finita.

Ringrazio Den per avermi fatto pervenire la testimonianza.
fonte immagine: http://lupoemigrato.wordpress.com/

mercoledì 7 ottobre 2009

Internazionale: lezioni per un futuro sostenibile del giornalismo












Sono stato a Ferrara per il Festival della rivista in veste di blogger. Trattato come i giornalisti professionisti. Anche se loro, quelli ricchi, non c'erano. Ma gli incontri non si pagavano.
Un festival per i poveri dell'informazione.
Un festival per tutti gli italiani.

Qui sotto un breve resoconto. Mi sa che ce ne saranno altri.

Il Festival di Internazionale è giunto alla sua terza edizione tenutasi come gli anni scorsi nell’incantevole città di Ferrara. Benché sia un festival dedicato al giornalismo, con ospiti che collaborano con la rivista omonima, ogni anno i media nazionali italiani non si fanno vedere, non seguono l’evento. Ma questo non è un problema. Anzi, non fa altro che confermare quanto si dice durante questi incontri.

E cioè che il giornalismo si sta trasformando.

Non è più un giornalismo fatto dall’alto: è il citizen journalism, un giornalismo che parte da chi partecipa alla comunità attraverso il suo cellulare, una piccola videocamera, una fotocamera compatta, ma soprattutto attraverso la Grande Rete del www. Infatti, per questa edizione, il direttore di Internazionale, Giovanni De Mauro ha detto: “Abbiamo aperto l’invito ai blogger, sullo stesso piano dei giornalisti, perché loro partecipano, ci scrivono, sono interessati”. Vige una mentalità diversa qui, estremamente interessante: non c’è più bisogno di passare attraverso i media nazionali per ottenere consensi. Lontano dagli schermi televisivi o dalla carta delle grosse testate, intenti a sfidarsi l’uno con l’altro per avere più audience, nasce un movimento per ora invisibile ma alla portata di tutti.

Se ci pensiamo, questo è un giornalismo a cui si accede tramite una scelta (più o meno ponderata non importa) e non tramite imposizione o abitudine. E’ un giornalismo che porta con sé un’etica diversa. Lo spiega bene David Randall, ospite del Festival e columnist britannico: “Proprio perché fare giornalismo su Internet significa slegarsi dal concetto economico-remunerativo, il citizen journalism è riprendere il mestiere con il cuore. Lo si fa solo se si ha l’interesse vero”. E chi usa Internet per dire la sua, non è un inviato in un paese in guerra ma tante volte un autoctono che si limita a riprendere quello che c’è fuori dalla finestra di casa sua. Quindi l’interesse è nei confronti di un nuovo localismo, di un giornalismo di quartiere fatto dai suoi abitanti, come sostiene anche Steven Johnson, esperto di nuove tecnologie.

In questo modo si può allo stesso tempo raggiungere l’informazione oscurata dai canali tradizionali oppure informare con minor rischio ciò che succede dalla propria terra. Possiamo raggiungere Roberto Saviano, ospite d’onore della manifestazione ed emblema dell’era Internet: per poter comunicare con lui – e chissà che non si possa veramente in futuro? – bisognerebbe navigare e raggiungere la sua isola solitaria, confinato dal suo stesso paese per il quale ha fatto la Resistenza e non ha ricevuto nulla in cambio. Saviano ha detto una cosa interessante: “Loro provano a rubarci le parole: ‘famiglia’, ‘amico’ diventano termini mafiosi, così che a poco a poco anche il linguaggio sarà corrotto”. La criminalità della parola. Questo un citizen journalist lo può impedire. Può incunearsi nella rete per vie alternative, aggirare il potere, spuntargli da dietro la schiena e fargli 'buh'. Ma anche qui la criminalità organizzata è arrivata, come svela lo scrittore campano. Su Second Life ad esempio riciclano denaro sporco. Ma possiamo evitarlo combattendo.

A morire sarà un avatar, non noi. L’importante è che i due non diventino la stessa cosa, come succede con altri social network.

In effetti è un po’ il pericolo in cui si incorre. E’ necessaria un’educazione ad Internet o è sufficiente del buon senso? O è necessaria una società che ci stia dietro? John Foot, storico che vive a Milano dal ’85, ha raccontato che suo figlio, uscito con gli amici, si è trovato senza qualcosa da fare per quella sera e così si è recato in un centro commerciale. “Mancano le strutture della società” ha puntualizzato. Ma per cambiarle, queste strutture, può entrare in gioco la rete stessa. Ad esempio, Ory Okolloh, blogger kenyana, ha strutturato un sito per monitorare l’attività politica del proprio parlamento. La gente può votare con cognizione di causa. E Olivier Nyirubugara, giornalista ruandese, aggiunge: “in uno stato dove politici corrotti e poliziotti hanno un potere incontrastabile, sapere di poter essere ripresi da un cellulare e visti su Internet è un utile freno alla violenza”.

Insomma, durante il festival sono stati molti gli interventi – anche di ospiti che qui non ho citato - a sostegno di un’unica preoccupazione: quella della veridicità dell’informazione, dello stato di salute del giornalismo. Perché da questo dipende anche il nostro di Stato.

E’ possibile cambiare l’Italia di ora. Marc Lazar, storico e collaboratore de La Repubblica, ha notato che “nei paesi comunisti, la tv controllata dallo stato non ha impedito la rivolta. E anche un Romano Prodi, immagine del tutto estranea alla tv come siamo abituati a pensare, ha vinto le elezioni due volte”.

Per questo reputo il Festival di Internazionale l’equivalente di una manifestazione a cui hanno partecipato 300mila persone: la libertà di informazione c’è al di fuori delle strutture convenzionali. Andiamo a cercarle. Basta un click e far seguire a questo una partecipazione critica e cosciente. Ma soprattutto informata.


Nella foto: Roberto Saviano commosso davanti ad una platea che lo applaude