mercoledì 7 ottobre 2009

Internazionale: lezioni per un futuro sostenibile del giornalismo












Sono stato a Ferrara per il Festival della rivista in veste di blogger. Trattato come i giornalisti professionisti. Anche se loro, quelli ricchi, non c'erano. Ma gli incontri non si pagavano.
Un festival per i poveri dell'informazione.
Un festival per tutti gli italiani.

Qui sotto un breve resoconto. Mi sa che ce ne saranno altri.

Il Festival di Internazionale è giunto alla sua terza edizione tenutasi come gli anni scorsi nell’incantevole città di Ferrara. Benché sia un festival dedicato al giornalismo, con ospiti che collaborano con la rivista omonima, ogni anno i media nazionali italiani non si fanno vedere, non seguono l’evento. Ma questo non è un problema. Anzi, non fa altro che confermare quanto si dice durante questi incontri.

E cioè che il giornalismo si sta trasformando.

Non è più un giornalismo fatto dall’alto: è il citizen journalism, un giornalismo che parte da chi partecipa alla comunità attraverso il suo cellulare, una piccola videocamera, una fotocamera compatta, ma soprattutto attraverso la Grande Rete del www. Infatti, per questa edizione, il direttore di Internazionale, Giovanni De Mauro ha detto: “Abbiamo aperto l’invito ai blogger, sullo stesso piano dei giornalisti, perché loro partecipano, ci scrivono, sono interessati”. Vige una mentalità diversa qui, estremamente interessante: non c’è più bisogno di passare attraverso i media nazionali per ottenere consensi. Lontano dagli schermi televisivi o dalla carta delle grosse testate, intenti a sfidarsi l’uno con l’altro per avere più audience, nasce un movimento per ora invisibile ma alla portata di tutti.

Se ci pensiamo, questo è un giornalismo a cui si accede tramite una scelta (più o meno ponderata non importa) e non tramite imposizione o abitudine. E’ un giornalismo che porta con sé un’etica diversa. Lo spiega bene David Randall, ospite del Festival e columnist britannico: “Proprio perché fare giornalismo su Internet significa slegarsi dal concetto economico-remunerativo, il citizen journalism è riprendere il mestiere con il cuore. Lo si fa solo se si ha l’interesse vero”. E chi usa Internet per dire la sua, non è un inviato in un paese in guerra ma tante volte un autoctono che si limita a riprendere quello che c’è fuori dalla finestra di casa sua. Quindi l’interesse è nei confronti di un nuovo localismo, di un giornalismo di quartiere fatto dai suoi abitanti, come sostiene anche Steven Johnson, esperto di nuove tecnologie.

In questo modo si può allo stesso tempo raggiungere l’informazione oscurata dai canali tradizionali oppure informare con minor rischio ciò che succede dalla propria terra. Possiamo raggiungere Roberto Saviano, ospite d’onore della manifestazione ed emblema dell’era Internet: per poter comunicare con lui – e chissà che non si possa veramente in futuro? – bisognerebbe navigare e raggiungere la sua isola solitaria, confinato dal suo stesso paese per il quale ha fatto la Resistenza e non ha ricevuto nulla in cambio. Saviano ha detto una cosa interessante: “Loro provano a rubarci le parole: ‘famiglia’, ‘amico’ diventano termini mafiosi, così che a poco a poco anche il linguaggio sarà corrotto”. La criminalità della parola. Questo un citizen journalist lo può impedire. Può incunearsi nella rete per vie alternative, aggirare il potere, spuntargli da dietro la schiena e fargli 'buh'. Ma anche qui la criminalità organizzata è arrivata, come svela lo scrittore campano. Su Second Life ad esempio riciclano denaro sporco. Ma possiamo evitarlo combattendo.

A morire sarà un avatar, non noi. L’importante è che i due non diventino la stessa cosa, come succede con altri social network.

In effetti è un po’ il pericolo in cui si incorre. E’ necessaria un’educazione ad Internet o è sufficiente del buon senso? O è necessaria una società che ci stia dietro? John Foot, storico che vive a Milano dal ’85, ha raccontato che suo figlio, uscito con gli amici, si è trovato senza qualcosa da fare per quella sera e così si è recato in un centro commerciale. “Mancano le strutture della società” ha puntualizzato. Ma per cambiarle, queste strutture, può entrare in gioco la rete stessa. Ad esempio, Ory Okolloh, blogger kenyana, ha strutturato un sito per monitorare l’attività politica del proprio parlamento. La gente può votare con cognizione di causa. E Olivier Nyirubugara, giornalista ruandese, aggiunge: “in uno stato dove politici corrotti e poliziotti hanno un potere incontrastabile, sapere di poter essere ripresi da un cellulare e visti su Internet è un utile freno alla violenza”.

Insomma, durante il festival sono stati molti gli interventi – anche di ospiti che qui non ho citato - a sostegno di un’unica preoccupazione: quella della veridicità dell’informazione, dello stato di salute del giornalismo. Perché da questo dipende anche il nostro di Stato.

E’ possibile cambiare l’Italia di ora. Marc Lazar, storico e collaboratore de La Repubblica, ha notato che “nei paesi comunisti, la tv controllata dallo stato non ha impedito la rivolta. E anche un Romano Prodi, immagine del tutto estranea alla tv come siamo abituati a pensare, ha vinto le elezioni due volte”.

Per questo reputo il Festival di Internazionale l’equivalente di una manifestazione a cui hanno partecipato 300mila persone: la libertà di informazione c’è al di fuori delle strutture convenzionali. Andiamo a cercarle. Basta un click e far seguire a questo una partecipazione critica e cosciente. Ma soprattutto informata.


Nella foto: Roberto Saviano commosso davanti ad una platea che lo applaude

2 commenti:

  1. bhè, niente male per un trampoliere...
    Bravo continua così!!

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  2. Nella foto: (notare che l'applauso più lungo è durato almeno 15 minuti)

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